Non si vedeva niente dal corridoio, leggevo i miei giornaletti o infilavo le mani dentro la presa di corrente quando avevo già la febbre a 40. Tempo niente le superfici di ogni stanza lucevano di fresco e di pulito come se fosse un tempio di Damasco. C'erano all'interno pavimenti di marmetta e intoste. Fuori, invece, il portone e le finestre di legno avevavo la pietra bianca e sotto fino a terra i fascioni di pietra lavica bugiardati.
Ma la casa era piena del suono della sua voce. Il canto si alzava irregolare da dietro la veranda che era di vetro a quadretti con dei supporti di ferro verniciati di un bianco crema. La voce cantava nell'atrio alto quattro metri, per alcuni secondi cercava le parole, poi riprendeva e ripeteva lo stesso motivo. Nel ripeterlo aumentava il volume ed era una specie di melodia nuova. Entrava nelle orecchie come nel cuore perché voleva dire, sono felice di essere qui.