domenica 24 aprile 2011

venerdì 22 aprile 2011

Gelsomina & Spice

Le due stanno sedute sul pavimento di moquette. Una senza calze, l'altra stanca delle scarpe di vernice verde pistacchio. Abbiamo già mangiato qualcosa alla pizzeria toscana, dove il mio amico cameriere fa il doppio lavoro per mandare i figli a studiare. Beviamo un drink dopo un pomeriggio di lezioni e professori. Siamo amici ormai, non solo compagni di scuola.

La padrona mostra le pareti bianche tinte di fresco e la cucina di legno a vista modello piantagione della Louisiana. Dice che il marito è un pezzo di egoista, si è tenuto il servizio buono di porcellana. Ma tanto in questo buco non si saprebbe dove metterlo. Le finestre non ci sono, siamo a pian terreno e arriva il rumore di piatti del  ristorante vicino; è un locale perfetto per una cantina con l'umido che traspare dai muri.

Sarebbe bello baciarsi e abbracciarsi ora che siamo soli. Ci potremmo rotolare sulla moquette nuova, slacciare reggiseni, portarci avanti con qualcosa di forte. Ma non si può fare, ci si ama solo in due alla volta. La Spice parla, le labbra rosse si aprono e si allargano sui denti bianchi e le unghie laccate. Il musetto di hawaiana sorride come fosse sulla spiaggia tropicale e i fiori appesi al collo.

La dimensione della morale è solo la coppia. Tutto il resto è proibito, almeno qui nel regno della monogamia. Al ristorante o in albergo solo coppie di persone - un uomo e una donna, un ragazzo e una ragazza, un vecchio e una vecchia - vivono nella bolla, parlano poco, si sopportano e approfittano della protezione della legge.

L'altra, la Gelsomina, piega le gambe sottili come dei giunchi, cova nel silenzio il piano di aggiramento ostacoli. Ha capito che la combinazione di elementi richiede un periodo di appostamenti. La sua schiena si piega per nascondere il seno, cammina e inciampa sui suoi passi, rompe tutte le scarpe. Possiamo stare ore ed ore. Non si finisce mai di essere contenti.

venerdì 15 aprile 2011

La media crescerà

Ho visto in sogno la ragazza dagli occhi neri e la camicia bianca di bucato, è Mary La Notte dalla periferia delle tangenziali. Ci vediamo per andare a pranzo, una passeggiata tra le rovine e parlare delle solite cose. Mary si presenta con la sua borsa nera piena di caramelle blu contro l'alitosi. Quando ride si accende come al buio una candela, i capelli non sono più rossi e il nido di rondine si è dissolto in una frangia più estetica. Purtroppo non guida le auto perché ha paura di sbandare, spende i suoi soldi per il nipote ormai grande e manda aiuti alla sorella lontana che si è data al commercio di verdure.

Scrive nel suo diario che non può stare senza vedermi. Ma quando mi vede non parla. Che forse dovrebbe lasciarmi perdere, che gli manco tanto fino a quando non si arrabbia. Anzi si arrabbia tanto ma poi gli passa. Sono diventato la sua droga, va in crisi di astinenza. Infatti la sera guarda la luna e sospira. Per fortuna ha smesso di fumare le sigarette piccole per darsi un tono. Di giorno ha così tanto da fare che la sua schiena potrebbe piegarsi, porta i pesi degli uomini e delle donne. Il suo respiro non si sente neanche, mi devo girare al momento giusto sulla schiena, per il suo pudore ci baciamo sulle labbra. Non ha molte idee al momento e nemmeno violenza.

E' così dolce che accetta tutto il buono che arriva, prende il menu del giorno. Salsa di pomodoro, aglio, curry e parmigiano con lo spaghetto alla chitarra. Dormiamo poi abbandonati, quando il telefono squilla. E' il presidente che mi chiama - Scusami ho bisogno di sapere, quanto tempo ci vuole per fare una media di prezzo pari a un euro? Dico - Penso bastano quattro anni, forse quattro anni e mezzo. E la nostra media crescerà.

lunedì 11 aprile 2011

Lampada di sale

Stavo cercando nelle mie tasche un biglietto da visita per ricordarmi chi è che mi ha invitato o un fazzoletto di carta contro il prurito al naso per il polline. Dovrei confermare un viaggio in Marocco nella regione dell'Assa-Zag. Incontreremo una delegazione con il prefetto locale e altre personalità. Invece dai pantaloni viene fuori una piccola lampada al tungsteno. Si è fulminata l'altra settimana senza preavviso, da qualche parte si trova una uguale.

E' prevista la visita in città e nell'orfanotrofio di Tata. Giornalisti ed esperti sono invitati per un viaggio di studio con delegazione fino alle regioni più difficili. Si parte da Bologna e si arriva ad Agadir, il Polisario è escluso perchè sparano. La lampada di sale color rosa, un pezzo pesante sui due chili a forma di fiamma perenne, è stato rimossa dalla postazione d'onore vicino la tv. Perchè invece del bianco va di moda l'arancione alle pareti e anche nelle tende?. Dice: - E' più caldo.

Incontreremo il prefetto e le autorità locali del ministero marocchino. Poi la sera chissà quali danze dei sette veli sotto la mezza luna. Potrei fare un salto fino al Mediterraneo e poi tornare indietro verso l'isola dove crescono gli alberi pendenti sul mare o cantano le sirene. Nelle grotte marine le streghe mangiano piselli crudi prima e pesce a brodo poi.

Anche la mia amica matematica Molly, e forse anche l'esperta di slogan Pungitopo, hanno messo in casa le tende rosa e incollato un foulard alle pareti per entrare nella stagione della fratellanza universale. Pollo al curry voglio tutti i giorni, o salsa rossa tandoori che si può mettere ovunque e fa bene alla circolazione. La lampada di sale è rimasta fuori senza l'armamento dei fili e la molletta. - Se resta al sole può squagliarsi? Un pomeriggio passerò dalla venditrice di accessori per la casa. Deve mettere gli occhiali per leggere sotto il seno costretto, se non fosse per l'accento calabrese potrei chiederle come mai ha deciso di aprire un negozio. Qualsiasi lampada alogena costa sempre due euro e fa sempre lo scontrino.

venerdì 8 aprile 2011

Una dose di Bach

A parte il mal di testa soffro di un nuovo male alle ossa. Ieri ho fatto i raggi alla schiena dopo lo scontro con Manuele su una palla inutile. La gamba è rotolata insieme a lui, qualcosa si è girato nel ginocchio. Oggi prenoto la risonanza magnetica per il legamento. Domani ritiro i primi risultati con le lastre coaxiali delle anche e, già che ci siamo, delle vertebre lombari. L'idea di avere una lastra e un referto nella busta grande è già un mezzo passo verso il benessere.

I malati delle ossa e gli storpiati fanno il giro degli sportelli a prendere i numeri, prenotare e pagare. Fanno le scale, gli ascensori a senso unico, le scale e poi stiamo in piedi fianco a fianco a protestare. Ho preso il numero 99 oggi, dopo due ore siamo fermi al 75. Alla terza coda e dopo due giorni di appostamenti la signora allo sportello dice che ho perso tempo. Lo schermo sputa il suo ultimo numero, i numeri sono esauriti e anche le mie idee sono sparse sul pavimento. Bastava andare dalla signora Manuela.

Amo i dottori con il camice bianco. Mi fanno dormire nella stanza più fresca quando ho un occhio pesto per l'edema e il distacco della retina. La tentazione di correre con gli amici di Pippo Katango si concluse con una bella dormita nel silenzio di una clinica. Quando sono tornato a correre da lei, ho dormito per giorni nelle lenzuola di lino grosso. - Ti porto dal mio medico dalle virtù essenziali. - Non ci credo, ma almeno dormo ancora con te.

Il dottore alternativo mi fece sedere, aveva gli occhiali senza montatura e i peli biondi sulla pelle tagliati corti. Apriva e chiudeva delle scatole di legno come fosse una collezione di farfalle. Ho toccato e poi stretto le dita per decine di volte.  - Sei troppo teso, mandi in tilt le sostanze compatibili. Poi ha concluso - Qui ci vuole un'altra dose. Ha scritto e detto ma io non ho preso niente.

Sono nervoso e lo stomaco non risponde. La mattina prendo il caffè della macchinetta e subito dopo il caffè del barista che legge romanzi, nel pomeriggio forse anche un Mate argentino. Per due giorni ho fatto uova al tegamino, il terzo giorno funghi con pezzetti di mela. Mi piace anche il maduro, la banana che è buona quando la scorza è nera. Forse ho la pressione bassa per via del caldo improvviso, o forse è troppo alta. Ora l'amica Letizia è tornata sull'argomento. Consiglia una dose di fiori di Bach, le gocce dell'equilibrio da scegliere nel libro e per dormire meglio.

martedì 5 aprile 2011

A togliere i capelli

Stasera siamo in tre. Io, Glam & Jane. L'orsetta Glam la conosco da sei mesi e ha detto - Secondo me voi due siete perfetti. Ora mi presenta la più matura serpente Jane. Devo vederla, forse poi cambia vita e non ci sarà più modo. Infatti dopo la sua vita cambierà. Ma anche io domani parto, è l'ultima occasione per tutti, il saldo di stagione dopo tutte le feste e la Befana. Dunque una bella cenetta, una cosa semplice e classica se non fosse per il numero dei componenti. Ci incontriamo per passare una serata, poi forse si va in un club. - Speriamo che aprono al citofono. Infatti dopo non apriranno.

Saliamo le scale verso il ristorante degli appuntamenti. La Jane è piccola di statura, magra e nervosa. La Glam ha, invece, le gambe grosse, muove veloce gli occhi neri pizzuti e ride coi denti alla perfezione. La magra Jane sembra anche un'iguana dallo sguardo cieco. Per alitarmi da vicino fuma in terrazza tra un piatto e l'altro. Stiamo nel freddo della sera davanti a un mare che non si vede mentre l'altra, l'orsetta irrequieta, telefona al fidanzato lontano. Le due siedono di fronte, io aderisco al primo piatto con funghi, loro non mangiano niente tranne il filetto al sangue e bevono vino rosso.

Una parla senza meta e costrutto, l'altra sbuffa e fa i capricci. Serpente Jane impartisce ordini a Orsetta Glam che incassa. Forse si è pentita della sua trovata per stasera. Dovrebbe reggere il moccolo, lei che è così peperina. Sembra una botte che sprizza la birra dalle fessure dei legni. Quando la temperatura degli interni sale, verso mezzanotte, saltiamo sulla Mini Rover Cooper. La serpente Jane mette una musica, accelera nelle curve e ci sfioriamo con le mani come per dire - Adesso siamo fidanzati. Le bacio la guancia di striscio mentre la piccola Glam, seduta dietro, fa le fusa e muove la gonna appoggiata alla spalliera. Con il braccio e il gomito sento addosso le sue gambe, con una mano accarezzo ormai il viso della serpente Jane che fuma e mastica sentenze. Nel guidare alza il volume dello stereo verso l'alto, Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere. Le auto compatte sono più comode di una camera, l'uomo (o la donna) ingombra poco e si può flettere nelle varie circostanze.

Siamo ancora ragazzi di mondo, negli anni della dolce vita, andiamo al pub irlandese che resta aperto dopo la musica live. In un angolo meno affollato Jane finalmente mi bacia e mi abbraccia con gli occhi chiusi. Si attorciglia e si contorce, aderisce al corpo e lascia una scia di fumo come un giocatore d'azzardo. Verso le tre andiamo a fare un giro, ci seguono due ragazzi, di cui uno gay, che parlano inglese. L'altro dei due fa lo scemo con Glammy l'orsetta. Lei lo porta spasso come un cagnolino ubriaco finchè poi lui si perde. La città si è fatta deserta, non fa freddo, qualche barattolo vuoto rotola verso il gatto nero del vicolo.

Si va al club segretato ma è chiuso, nessuno risponde. La Glam scende dai tacchi alti, si va a casa a vedere il disordine della cucina, ma chi se ne importa dei piatti? Il pavimento della cucina ha una moquette improvvisata per l'occasione, tutto intorno è buio celeste, si vede qualche vaso di piante grasse nel cortile. Ci si passa del tempo, senza vederlo, a togliere le mani dai capelli, a baciare e tastare le parti fino all'alba di un altro giorno. Io dondolo e lei dondola. Jane non si stanca mai, ci baciamo le labbra che sembrano allo specchio, togliamo insieme i capelli dalla bocca. L'orsetta intanto è scomparsa, oppure fa finta di dormire. Verso le sei mi ricordo che ho un appuntamento alle sei meno un quarto per un viaggio in aeroporto. Volo via e volo via.

lunedì 4 aprile 2011

Strada della Speculazione

Quasi all'incrocio sulla Strada della Speculazione, quando via Molino delle Armi diventa via di Santa Sofia, una vetrina a giorno mostra le mercanzie al quartiere dei ricchi. Pezzi di bue grasso, cosciotti appesi a un gancio, polpette di prim'ordine e ora anche i prodotti da forno scelti che brillano di luce propria anche protetti dalla tenda da sole.

Chi entra nel negozio confida nel bue allevato in collina piemontese. La bestia di pregio proviene dalla zona delle Langhe, è grassa ma anche tenera perchè la carne è color rosa, la più adatta a denti fragili o stomaci delicati. Alla cassa c'è la padrona ma sta sempre nascosta. E' la vedova del fondatore Faravelli, la cui foto insieme al suo ultimo Bue Grasso della fiera di Carrù è stata rimossa a due anni dal suo decesso per infarto.  Dalle pareti bianche pendono le carni grosse appese a un gancio. Il grosso del sangue è scivolato via lasciando un colore rosa nelle fibre carnose mentre il bianco delle ossa è candido come le maioliche.

I ricchi mangiano anche il contorno e non badano a spese. I poveri, invece, passano davanti alla vetrina e non la guardano per non doversi vergognare. Quelli che sono poveri - senza ancora immaginarlo - guardano solo i prezzi. C'è chi spera in un crollo del mercato bovino all'ingrasso, altri si sentono ormai vegetariani e immaginano un giorno di sentirsi in forma.

Il signore con gli occhiali, in piedi, taglia la carne dietro al bancone. Le sue mani e la sua carnagione, si vedono di profilo, sono come il colore della carne sul tagliere di legno. Il grasso della carne macellata è lo stesso bianco dell'interno delle sue braccia scoperte dalla camicia fin sul gomito. Non è grasso come il bue, l'addetto alle carni è magrissimo e butta l'incarto sulla bilancia. Fa 25 euro.

Sul bancone le carni stese si muovono e si alzano a ogni taglio di bistecca insieme a tutto il braccio. I tranci rosa vellutati si muovono verso la carne dell'uomo con gli occhiali. Che taglia con le mani nude, accarezza la carne morta prima dell'incisione mentre le sue dita si fanno ancora più umide. E come fossero delle funi di foresta le fibre della carne lo intrecciano e lo trattengono, lo tirano dentro il loro calore residuo. Lui stesso, in camice bianco velato di strisce rosse, sta vicino alla porta grande del frigo del Bue di Carrù. Senza più colore nè calore, fino all'osso.