giovedì 24 novembre 2016

Pieno di giubilo

Le stanze erano vuote, solo io e lei. E anche silenziose, fino a quando succedeva qualcosa nell'aria della pace degli angeli. Fino a quando non è arrivata Faccia di Luna che dormiva di un sonno pacifico. Nella stessa naca di legno con le barre gabbia di leone dove avevo dormito anche io.

Non si vedeva niente dal corridoio, leggevo i miei giornaletti o infilavo le mani dentro la presa di corrente quando avevo già la febbre a 40. Tempo niente le superfici di ogni stanza lucevano di fresco e di pulito come se fosse un tempio di Damasco. C'erano all'interno pavimenti di marmetta e intoste. Fuori, invece, il portone e le finestre di legno avevavo la pietra bianca e sotto fino a terra i fascioni di pietra lavica bugiardati.

Di mattina presto prendeva a lavare e stendere fuori lenzuola e cammisi. E chiudeva il rubinetto con il suo getto di acqua gelata. Perciò la finiva di zammatiare nella pila o di scaminare e anche di agniutticare le tovaglie. Le sue mani bianche mi passavano sulla fronte, sapevano di sapone Perla ma profumato del profumo della pelle e del corpo.

Ma la casa era piena del suono della sua voce. Il canto si alzava irregolare da dietro la veranda che era di vetro a quadretti con dei supporti di ferro verniciati di un bianco crema. La voce cantava nell'atrio alto quattro metri, per alcuni secondi cercava le parole, poi riprendeva e ripeteva lo stesso motivo. Nel ripeterlo aumentava il volume ed era una specie di melodia nuova. Entrava nelle orecchie come nel cuore perché voleva dire, sono felice di essere qui.

Stirava e cantava Mira il tuo popolo/bella Signora/ che pien di giubilo/oggi ti onora. Qualche volta, saliva sulle scale addosso ai vetri o le tende del salotto anche Tutti mi dicono stella/stella di antico splendor. Ma il suo pezzo forte era Balocchi e profumi per te.

mercoledì 26 ottobre 2016

In blue

And when finally the bottom fell out
I became withdrawn,
The only thing I knew how to do
Was to keep on keepin' on like a bird that flew

venerdì 14 ottobre 2016

Minstrel Boy

Non c'entra niente con la letteratura, quella di Baricco barocco. C'entra con la poesia, il blues e il rock 'n roll e la nuova forma e il suono delle parole quando sono dentro la musica. C'entra con la Pop art, la Muzak, i suoni distorti delle note nei supermercati, c'entra con i cori degli Scout e con l'arte dei Menestrelli. C'entra con i canti di lavoro, con le donne intorno a un tavolo che raccontano e poi cantano le storie di vita, con i lupi che abbaiano alla luna.

Bob Dylan è un'invenzione di uno che si chiama Robert Allen. Cresciuto nella città rossa di metalli pesanti e di treni merci con la radio e la musica della Louisiana, di Hank Williams e di Robert Johnson e di Charlie Patton e di Muddy Waters. C'entra con Allen Ginsberg o Andrej Evtushenko, i poeti beat, i versi sulla spiaggia di Ostia nel '78. C'entra con Ezra Pound e con Jack Kerouac con le miniere dell'Iron range, i rifugi anti atomici e le droghe negli appartamenti vuoti dell'East Side.

Dylan non scrive poesie, le canta sotto la pioggia o nel fango, sulle montagne di neve o nei campi da baseball al tramonto davanti alla gente sdraiata sull'erba o la sera a Tulsa, Oklahoma, la città insulsa, Just like a Woman "but You breaks just like a little girl". Dylan è un poeta nel senso che è un uomo nudo che cammina, vive in un camper e trascina dietro le famiglie della band e degli attrezzisti e degli accordatori di chitarra che vivono sotto una tenda. Raccolgono le verdure per la cena attorno al palco delle città di provincia. Poi prima del concerto, come i toreri, indossa la sua divisa con la piuma colorata nel cappello e attacca una cosa sconosciuta a tutti che dice: "I'm the Man Thomas, I'm the Man".

Ha copiato tutto o quasi ridando dignità ai giganti dimenticati che li hanno scritto e cantato. E' un piccolo Menestrello dalle gambe come un fenicottero che chiede una moneta nel cappello. Please welcome the Columbia recording artist. Pappara parapà rapà. "They're selling postcards of the hanging, selling a passport brown". But "Your heart is like an Ocean, misteriously dark. Meno male, stavolta ancora the circus is in town.

Minstrel Boy

Chi getterà una monetina a quel menestrello?
Chi la farà rotolare?
Chi getterà una monetina a quel menestrello?
Chi la farà cadere facilmente per salvare la sua anima?

Con un pò di fortuna è arrivato, ha guidato per un sacco di tempo
ed ora è bloccato sulla cima della collina
con dodici motori accesi, è stata una scalata ardua e lunga
e con tutte quelle signore, ma è ancora solo

mercoledì 21 settembre 2016

Oculato e profumato

La polvere dei rumori ricopre la gente, i mobili delle case lasciate dai morti. Ma oggi è giorno di nuvole e umido, potrebbe essere la tregua dell' estate permanente. Forse il ghiaccio del polo Nord la smette di sciogliersi. E questa prima acqua dal cielo potrebbe cancellare i segni del tempo, almeno dai vetri delle auto in sosta.

Nell'atrio di ingresso del palazzo una signora con occhiali parla del tempo a un'altra più giovane, e questa risponde per cortesia. Ma la signora con la parlantina non la ascolta, deve rammentare della neve dell'86 alta così e dei falsi miti sul freddo di Milano. L'altra dice allora del terremoto in Emilia e in Irpinia, era bambina e il padre la teneva per mano mentre scappavano dal palazzo di Salerno.

La porta dell'ambulatorio davanti alla piccola folla non si apre ancora, manca qualche minuto. Pare solo questione di minuti, la porta si aprirà alle nove. Quando cerco di entrare si capisce che è chiusa dal di dentro, allora aspetto con le due signore che continuano a parlare, ora del tempo ora di qualcosa a cui potrei rispondere secondo quanto si capisce. Ma non abbocco e mi concentro sulle maniglie d'epoca del portone di vetro.

Nell'ingresso del palazzo c'è un cartello che dice Sono vietati gli assembramenti e anche altri eventi di disturbo della quiete. Le due parlano ora del più e del meno a volume sostenuto tanto che qualcuno esce dall'ascensore preoccupato. A un certo punto verso di me sale dal centro dell'atrio un profumo penetrante come di acqua di colonia a lungo conservata. Lo sento nel centro della testa e in mancanza di ricambio di aria potrei decidere di lasciar perdere la visita dell'oculista.

Un rumore dietro la porta fa intendere che ormai l'ambulatorio è aperto. Così giro la maniglia e questa si apre. Al che la signora parlante si gira di scatto e la lascio passare come si fa coi tori davanti alla muleta. Lei però aspetta il dottor tal dei tali che non arriva mentre l'altra per sua fortuna va dritta verso l'altra porta aperta del medico specialista.

Il mio medico è diventato più anziano ma è sempre gentile, si notano dei mocassini colorati in contrasto con il grigiore del resto. Inoltre perlustra il fondo dei miei occhi con varie apparecchiature con il solito garbo e cortesia. Ruota ogni attrezzo il maestro degli occhi, copre le pupille quando serve e poi le scopre, dice di guardare verso la lucetta e io guardo. Poi si avvicina come se volesse vedere dentro la cornea con un attrezzo luminoso, si avvicina e stringe il dorso della mano sulla mia guancia fino a che dice, ora guardi la luce. Stringe forte anche l'altro occhio e l'altra guancia, poi finisce tutto.

Credo di aver diritto a un rimborso parziale di una parcella e mi reco perciò all'ufficio amministrativo guidato da due altre impiegate diverse dalle prime addette all'ambulatorio. Ma la signora parlante mi ha seguito e ora aspetta anche lei davanti al secondo sportello. L'odore di colonia si è impossessato così di quest'altro ufficio adiacente al primo in un altro numero della via e di tutti noi che aspettiamo un certificato e una fotocopia come riscontro.

Per un attimo, uscito fuori per strada, mi sono chiesto se la puzza mi era stata attaccata per contagio. O se venisse da me, oggi che ho fatto la doccia con un sapone diverso. Chissà tante volte, non si sa mai. Ma non avendo un riscontro preciso sulla questione ho ritenuto di non pensarci più. La signora con gli occhiali e l'ombrello era scomparsa ormai ed era ora di fare colazione con una bella brioscia e un cappuccino al chiosco del Tumbun di San Marco.

mercoledì 14 settembre 2016

Giannitto e le pallottole

Per la festa di Novembre i ragazzi del quartiere di S. Antonio avevano preso i regali lasciati dai Morti la sera prima. Ognuno aveva il suo, chi una carabina e pallottole, chi la fondina e il cinturone. A un certo punto i ragazzi della III Traversa fecero un passo indietro verso la zona della fontanella. Nino Gugliotta e Gianni Piana erano a capo della prima squadra.

Quelli della IV Traversa e delle altre zone del quartiere ammessi alla parata fecero un altro gruppo. Si cominciò a sparare con fulminanti e caps. Qualcuno cadeva a terra e qualcun'altro si rialzava, si era fatto un bel buco alla camicia nuova. Finalmente tutti si misero a correre gli uni nel campo degli altri come gli indiani verso Fort Apache. Ma a un certo punto i caps e i fulminanti cominciarono a esplodere nelle tasche di uno a causa del calore e delle cadute. 

Il fumo usciva dalle tasche dei pantaloni corti nuovi nuovi mentre le pistole cadevano per terra. Il botto si fece sempre più forte e continuo, man mano che un fulminante contagiava l'altro fulminante e così via fino alla fine di tutto il materiale esplosivo.

La sera la battaglia era finita. Le ferite alle ginocchia non si sentivano più. Allora Nino apriva il garage, arrivavano le ragazze e si armava un palco per la band con la chitarra elettrica di Niccolo Rapisarda. Una specie di Samba Pa Ti era il suo ultimo successo. Niccolo era quello coi capelli rossi della VI Traversa. La ragazza dai capelli neri aveva una sorella e veniva solo per le feste dalla grande città.

Gianni aveva spesso gli occhi velati come da qualcosa che doveva spostare per guardarti bene in faccia. Poi ti prendeva sotto braccio, quando doveva dirti qualcosa di importante. Un giorno andiamo al mare insieme Turi, mi disse. Voglio imparare a nuotare insieme a te, la voce era roca e bassa come per confessare qualcosa.

Trans art

Questo paese è mix ingegnoso di povertà, assenza di Stato, casta di garantiti, piccoli e medi con partita Iva allo sbando, ragazzi in libera uscita e un popolo di gaudenti disposti a finanziare tagliagole e ghigliottine.

Da Nord a Sud è il terreno di coltura ideale per comici e meravigliati della grotta. Poi ci sono quelli fuori, ai margini, chi ruba per tre e chi non ruba ma elude e diventa ricco.
Trans art e il sasso piatto
Per fortuna sono ancora tanti a tirare avanti anche per gli altri, prendono un tram per andare e tornare a casa, portano i cani e figli a spasso per il parco. In questo paese arrivano i ragazzi di tutti i colori del mondo e vengono a imparare quello che per secoli abbiamo imparato e ora stiamo dimenticando di proteggere. 

La guerra civile, lo scontro sociale, potrebbe crescere - il modello siriano è quello che si porta di più adesso - tra i poveri senza niente da perdere e tutto il resto che non governa e che abbandona le cose pubbliche, dalle strade alle scuole. Uno Stato senza autorità ostaggio dei suoi tirapiedi e protetti, uno strato di brava gente disposta a emigrare e una casta di protetti dagli amici degli amici.

venerdì 9 settembre 2016

Marcia longa

Partiti dalla IV Traversa arrivarono già provati al piazzale del Municipio che si apre dopo il giardino pubblico in cima alla XIX Traversa. Mimmo Russo sbandierava segnali da una macchina, un altro socio amico suo alto e dal naso grande appendeva i numeri alle magliette. Il gruppetto si unì agli altri tre mila concorrenti che andavano a passo di corsa ma una volta a Borrello, dopo appena un paio di km, si misero a camminare.

Verso le 10 i castagni passavano a fianco e la ginestra anche, a forma di albero e di siepe. Era la prima Marcia Longa da un paese verso il rifugio Sapienza, una specie di corsa maratona di 22 km trasformata in scampagnata con le madri e le vicine pronte a rifornire i poveri ragazzi di succo di arancia o latte di mandorla.

In gruppi sparsi i maratoneti veri avevano tagliato il traguardo intorno alle nove e mezza mentre i camminatori passeggiatori arrivarono con un certo sforzo, certuni senza scarpe e altri con le piaghe sotto i piedi. Alle 11 dopo tre ore di camminata sull'asfalto il monte San Leo e la contrada della Quercia erano chiari e limpidi, gli occhi cominciarono ad appannarsi di fronte all'Albergo di Corsaro. 

Turi Pulvirenti era il più preciso e ordinato, tirò fuori il fazzoletto bianco piegato in quattro dalla sua borsa a tracolla e si asciugò la fronte. Pippo Rapisarda e Gianni Piana fecero le foto, si perse del tempo per salire sui muretti e schierarsi in ordine. Solo Pippo Motta e Ciccio Santamaria erano freschi come le rose, forse perché erano abituati a spalare terra e portare i secchi di calce.

martedì 6 settembre 2016

Amparissi

Stavo seduto sul bordo dell'acqua corrente e avevo la sensazione di muovermi con lo sfondo del canale e dei riflessi dei palazzi della Darsena. Un cartello dice che la costruzione risale al 1648 e poi che sfrutta la pendenza del suolo da Milano fino a Pavia. Una cosa colossale al confronto dei palazzoni di cemento alti sui tetti della città a forma di vela.

C'è un momento per correre e uno per fermarsi. Di solito nel primo caso si guarda avanti, nel secondo, al contrario, si guarda indietro. L'acqua del Ticino arriva fino a qui, portava le barche che portavano i marmi e le pietre del Duomo, le verdure e il riso dell'Oltrepò, la gente commerciante, i ragazzi e le ragazze a cercare fortuna.

Il sole dell'estate scalda ogni cosa, anche le bancarelle di peruviani. Vendono il frutto proibito, il platano che diventa nero e dolce. "Questo si mangia fritto!" C'è un sedile di marmo bianco a forma di onde, le mura di mattoni rossi sono nuovi. Ma qui avevano fermato i lavori perché c'era anche un porto romano e per anni si vedevano solo paratie di alluminio.

Che combini? Subito risponde. Scusa con chi parlo? E tu chi sei? Ho tenuto per mesi la tua tela di juta con dei graffi, era incorniciata nel legno grezzo. Mi chiedevo se ancora lavori con dei quadri. Io sono nome e cognome ed ero amico, cioè ero fidanzato di questa che poi era amica di tua sorella e perciò anche tua. E come hai avuto il mio numero? Sono passati alcuni decenni, diciamo almeno tre, però mi ricordo della forma del suo viso. E pensavo a come si cambia o a come non si cambia,  a come restano impressi dei dialoghi, delle ombre nella luce accecante o delle luci nella notte. 

Sarà stato perché il numero non lo ha mai cambiato e ora mi sei apparsa come essere attivo e pulsante. Forse me lo aveva dato pensando che un giorno ti avrei chiamato. Quella sera siamo arrivati a Sabaudia in 500 percorrendo la Pontina, nella piazza romanamente disegnata dal Duce e ora giustamente i veneti bevono l'ombra seduti al bar già la mattina. 

Un gatto salì addosso tra le mie gambe e si fece un certo clamore intorno. Poteva essere la copertina del primo album folk rock rivisitato tra i pini marittimi, Moravia e la sua amica camminavano a stento tra i portici. C'era un laghetto, un uccello raro morto ritrovato tra gli alberi sulla strada all'ombra della riserva. C'erano due amiche stese sul letto con la faccia coperta di una crema verdastra rigenerante dopo tante ore di trattamento.

Il tempo passa e spassa come un piccione sopra il suo pezzo di cornicione. Sui bordi del Naviglio ora ci sono quelli con computer e barbetta riccia. Mi ha fatto piacere la tua chiamata, sono un'artista, puoi trovarmi e sapere delle mie mostre, della Triennale anche. Certo, sicuro, grazie, allora ciao. Ma non mi ricordo come ci siamo conosciuti, mi ricordo che ci siamo visti in via De Lollis ed era passato del tempo, forse un anno dalla prima volta. Quando ero dalle tue parti e il professore cieco ascoltava Haydn in una stanza buia per apprezzare la grande musica davvero.

venerdì 2 settembre 2016

Stesso tempo

Quando ero appena giovinetto volevo una ragazza sexy sbrexy, invece ho preso una fidanzata rasserenante come fossi un vecchio. Quando ero giovanotto volevo avere un figlio, mi è capitata una tipa giustamente passionale ma un pò lamentosa e sterile. Quando decisi di avere una famiglia mi sposai con una dolce arguta intellettuale, il bambino era di troppo e fu come congelato.

Poi ci fu un tale movimento che non si capiva niente sul destino e sulle direzioni. Era il caso di mettere un punto e ricominciare. Così presi alla grande l'idea del ranch nel far west con animali e compagna ma purtroppo una aveva già un figlio da accudire e l'altra anche delle galline da uova da covare. Quando poi mi ritirai nel mio esilio confinato nella natura sconfinata, coltivai gli ulivi, e con buone scarpe per tanta terra ancora riprendevo a camminare e a respirare.

giovedì 1 settembre 2016

Lorenzo nel Cilento

Ho un certo numero di figliocci, dunque sono tante volte padrino. L'essere il custode a distanza di un ragazzo è un onore che ho ricevuto dai miei amici, che a un certo punto mi hanno chiesto con l'aria ufficiale un pò imbarazzata, vorremmo che tu diventassi il padrino di mio figlio. Perciò volendo fare un punto della situazione sono padrino di Lorenzo, figlio di Pippo, ma anche di Daniela, figlia di Concetto, e di Luca, figlio di Alfio, come di Isabella, figlia di Giorgio.

Praticamente i miei quattro amici del cuore hanno fatto i loro figli tutti negli anni Ottanta, che sarebbe stato un periodo fertile anche per me. Ho infatti sfiorato da vicino la paternità almeno un paio di volte, per non parlare della volta più clamorosa, proprio l'ultima verso il '91. Oggi avrei potuto avere un figlio 35 anni, o uno di 30 o almeno un altro di 25, invece non ne ho nessuno. In compenso, e in più ancora, sono padrino anche di mia nipote Beatrice, di un mio cugino Lucio e sono perfino padrino di cresima e non di battesimo, somma di paradossi, di un certo Battista figlio di un'amica di famiglia affezionata portando così a quota sette il totale dei fortunati ragazzi.

Per qualche motivo i miei amici erano e forse sono ancora legati a me da qualcosa che potremmo definire come delle catene inossidabili. Con Giorgio la voglia di una birra ghiacciata davanti a un libro foderato e spesso di Anatomia chiusi in una stanza. Con Pippo la visita di Padova e Venezia dormendo per una notte nelle camere degli studenti ai tempi del Teatro la Fenice e del Carnevale di Venezia. Con Alfio i viaggi tra Roma e Milano a rincorrere palloni sgonfi e squadrati nei campetti delle periferie e delle parrocchie di periferia. Con Concetto le discussioni sulle donne da marito in un Maggiolino verde fino a notte fonda nel mese di agosto del '75, prima che andassi via e lasciassi la mia casa.

Lorenzo è andato in bici nel Cilento, prima qualche anno fa si era fatto gli Appennini, un altro anno le Alpi. Forse è il figlioccio che sento più vicino perché quando parliamo mi chiede sempre qualcosa di vero. Poi gli rispondo e lui fa sempre Ok, come per dire si ho capito, ho capito nel senso profondo quello che mi hai detto. Sono interessato alle cose che fai e magari un giorno verrò a fare qualcosa con te. Sono il padrino, il patrozzo, che non sa neanche le date di compleanno dei suoi figliocci. Che non si ricorda più niente di niente. Che si era dimenticato di quanti anni sono passati dall'ultima volta che è successo qualcosa di importante con Lorenzo o gli altri, come andare a funghi per gli alberi, perdersi e ritrovarsi.

lunedì 23 maggio 2016

Kerosene

Partì per amore verso una piccola città  del Nord e finì per dormire sul pavimento, accanto alla stufa al kerosene senza kerosene. Chi l'aveva ospitato disse che era tutto il meglio che poteva fare in questa sezione di partito piena di volantini e ciclostilati, cioè dei fogli stampati anche sul retro pieni di parole e parole come democrazia e popolare.

Il ragazzo aveva una ventina di anni e portava con sè la macchina fotografica. Scattava una foto al giorno, così da stampare un rullino al mese per lo più in bianco e nero. Portava un giubbotto blu per coprirsi ma senza successo dal ghiaccio dell'inverno. Quando arrivò di mattina presto alla stazione di Genova in transito, fece le scale dell'androne e cercò il centro di Genova senza riuscirci.

Lei, invece, viveva vicino al carcere circondariale di massima sicurezza, dove avrebbe poi lavorato. Portava i capelli sopra gli occhi, i suoi occhi erano come due grandi uova di quaglia ma di altro colore, come fossero delle castagne lucidissime nella luce del giorno. Sorrideva ed era bella quando sorrideva. Era bella sempre con il suo sorriso.

Per tutto il giorno aspettava di incontrarla in un bar o sotto i portici. Fece a piedi tutto il centro della città parecchie volte fino a che si mise a parlare con un certo Enzo di cui diventò molto amico per coincidenza. In realtà era venuto per lei ma lei non c'era quasi mai. Enzo gli scrisse una lettera e poi un'altra ancora. Si parlava di politica e di attività culturali e di quanto fosse impossibile vivere in un piccolo paese,

Lei aveva un'amica che incontrava a delle riunioni di partito. L'amico di lui si era innamorato dell'amica di lei e perciò una volta si erano trovati insieme a viaggiare. Quella volta andarono in un dormitorio pubblico dove presero un letto insieme tra la gente povera della zona che veniva ospitata per la notte. C'era un odore di scarpe e calzini sporchi, c'era un gran calore però. Mentre fuori cadeva la neve.

Lui spese tanti soldi in gettoni del telefono quell'anno e in biglietti del treno. Riceveva e spediva lettere d'amore, sperava di portarla in un posto dove avrebbero ascoltato la loro musica preferita e si sarebbero baciati per un'infinità di volte. Perse anche tanto tempo ma pensava di aver trovato la felicità.

Quando partì l'ultima volta per il Nord era di maggio e la tv parlava del Giro ciclistico di Italia. Fece a piedi ancora una volta tutto il paese verso la periferia questa volta. Rimase per tanti giorni in quella città finché lei apparve con una gonna a fiori e andarono a passeggiare tra i campi. Le fece una foto e la ingrandì. Cercò di riempire il vuoto del suo cuore ma si dimenticò dei suoi doveri verso tutto il resto. 

Quella ragazza non era con lui ma solo su un pezzo di carta da lettera. Infatti poi scomparve nel nulla e restò solo un ricordo. Era bello sentirsi chiamare in un certo modo, era stato bello. Una volta lui guardò fuori dal finestrino del treno, c'era solo neve e nebbia. Poi era sceso verso un fiume da un ponte e il fiume era ghiacciato. Scattò delle foto in bianco e nero a una vecchia in sala di aspetto della stazione. La vecchia lo guardò e lui fece un paio di foto. Sentì di essere un povero ragazzo, ma era libero di scattare tutte le foto che voleva.

domenica 22 maggio 2016

Cura del freddo

Una sera d'inverno arrivò un ragazzo. Aveva il fisico di un astronauta in formato ridotto, soffiava con un lato della bocca sui capelli per spostarli dagli occhi. Che sei venuto a fare a Roma? Faccio dei quadri ma sono specializzato in massaggi terapeutici, sai cos'è lo Shatzu? Non aveva idea di dove andare e nel giro di poco si trasferì in una stanza piccola ma riscaldata. Diceva di chiamarsi Nicola, pittore. Ma dopo qualche giorno disse che era esperto anche di crio terapia, la terapia del freddo, e che studiava in psico stregonerie.

Fece un disegno e poi un altro ancora in bianco e nero. Prendeva le mie foto e faceva degli schizzi con un carboncino. Per qualche tempo ci siamo piaciuti, finché una mattina disse di aver trovato casa e lavoro. Fece un disegno del mio profilo vicino a un altro profilo. La mia stanza era piena di colori e pennelli, c'era aria di pastello e di rivelazioni dopo l'aria della rivoluzione.

Nelle piazze e nelle strade i cortei di operai e impiegati contro il blocco della scala mobile, i funerali di Enrico il capo del partito dei lavoratori. La sera prendevamo il gelato alla Industria del Gelato di Piazza Vittorio, ancora ho un cucchiaino di argento massiccio dalla forma rotonda. Stava cercando qualcosa che avevo cominciato a cercare qualche anno prima, perciò davo una mano a lui ma anche a me.

Quando il pittore voleva qualcosa la voleva subito. Intuiva e parlava la mia lingua della strada e dei ragazzi di strada, lo stesso modo di guardare dentro certe cose. Ci siamo piaciuti e poi ci siamo persi, chissà bene perché. Era un momento delle nostre vite, era la nostra vita in un istante rubato. Con un nome così è difficile scordarlo, anche perché mi deve un quadro con trapezista che vola verso un altro trapezista.

venerdì 4 marzo 2016

Finisce per travalicare

Balotelli è uscito dal campo scuro in volto, dice il cronista a bordo campo. Sono d'accordo con Mimmo Trischitta, dice l'esperto di comunicazione. Mi trovo ancora a sentire della gente che parla da un tavolo con dei microfoni, come ascoltassi le prediche e i salmi dall'altare di una piccola chiesa.

Allora ascoltavamo senza interesse ma ci sembrava di fare qualcosa di utile per le nostre anime. Ci sentivamo a posto con il senso del dovere e della comunità. Il prete predicava e noi pensavamo agli incensi. Diceva Signore sia con noi. E con il tuo Spirito.

Ora il relatore esperto parla e predica ancora alle piccole folle radunate. Ma il delitto passionale non esiste più. Il femminicidio vi sembra una parola corretta? Dove finisce per travalicare il contesto a volte supera la parola. Prima erano parole e paroloni, ora sono parole sconnesse come se si parlasse a vanvera, chi è vanvera?, davanti casa o con la prima persona che passa.

Salve sono Nunzia Scalzo, vorrei fare una domanda. La Croce Rossa vieta di raccontare quello che succede ai pazienti ma io sono giornalista a bordo delle ambulanze. Vedo cose che sarebbero da pubblicare per quanto sono enormi. Cosa devo fare? Nessuna risposta, faccia come crede. Ma non era un corso sulla deontologia? Dimmi qualcosa per favore autorevole esperto.

Voi conoscete Press Tv e Al Jazeera, noi collaboriamo su vari temi. Ma che cos'è il migrante economico? Torno alla Carta di Roma. Gli unici a fare inchieste sono le Jene e Striscia la notizia. Lotta al meretricio: identificate 9 sudamericane. Metetricio vallo a dire a tua nonna che forse se lo ricorda.

domenica 28 febbraio 2016

Corso non deo ontologico. S. Agata festa di Catania

Corso non deo ontologico per giornalisti tenutosi a Catania. Estratto registrato di una conferenza-simposio che forse non hai potuto frequentare. Tema la festa della patrona S. Agata.

Vedete, dice Don Paolo, il sacro è l'oggetto della festa, dal latino sacer, sancire. Conservare ciò che è ritenuto sacro e non profano. Ma poi ne parlerà meglio anche il rappresentante del comitato festeggiamenti di Sant'Agata.

La festa comunica il sacro al di là della festa. Faccio un riferimento classico per focalizzare una mia lettura. Platone, nel settimo libro, illustra il famoso mito della caverna. Il prigioniero vede solo le ombre e si convince che è la realtà. Ma potrebbe esserci un valore connotativo del sacro e del profano. Il profano è ciò che sta fuori.

La festa ha un valore blando per una bassa coinformazione. Alla fine c'è una bassa cosignificazione se vogliamo ben guardare. I valori scendono di parecchio, tante volte una coinfornazione variegata. Il committente, insomma, manda un messaggio attraverso S. Agata, ma il messaggio sacro avrebbe un significato il cui cumulo di risultati si sarebbe svuotato in tutti questi anni.

A me sembra più un circolo vizioso, la festa diventa autoreferenziale. Tutti sappiamo di Mc Luhan che parla del messaggio, il mezzo è il messaggio non è vero? Sembra che la festa ha il suo bollo, è il tecnologismo della festa. Da questo punto in poi S. Agata è in noi. E' inutile che aspettate, disse il devoto. Espresse questa frase, da Villa Bellini Sant'Agata è nostra.

Qui c'è un senso di controllo scientifico della festa che poi sfugge. E qui Ildebrando è esperto e mi può anche correggere. Il memoriale che cos'è, se con è chiaro e cosignificato... Qualcuno si distanzia dalla festa. Anche se tanti vengono dall'estero. Sotto l'aspetto della comunicazione del sacro. Magari qui esagero, questa festa ha un logo come un prodotto cmmerciale, un brand che può dire anche questo. La festa è diventata forse la prigione di S. Agata? Quinziano non è riuscito a piegarla, pagare qualche devoto può riuscire senza problema, ecco i famosi inchini verso le case dei mafiosi.

Agata portò il velo di chi si consacra, lei si piegò solo a Gesù Cristo. Si dispiace quando viene paragonata a qualcosa che non sia sincretismo. Così la festa ha voluto raccogliere tante cose. Vi racconto un aneddoto, incontro un amico, Vittorio Sgarbi, e vediamo Salvo La Rosa della tv che lo aggancia. I devoti lo volevano strozzare perché aveva detto qualcosa a proposito dei miti arcaici. Poi però esplode la devozione e tutto si rasserena.

Agata è il baluardo di difesa della patria e lo ha fatto. L'imperatore romano arrabbiato vuole distruggere Catania e improvvisamente una scritta lo bloccò. Agata esce dal sacello e così via.

Ci vuole un ritorno alle origini, un lavoro paziente per recuperare i martirologi, dove abbiamo un agone con i dialoghi, abbiamo traduzioni in greco, anche l'exemplum martiriale è la cristoninesi, fino al punto che tanti si piegavano e piegandosi rinnegavano. Sapete la storia, cercavano di farle passare tutti i piaceri ma lei Agata non si è mossa di un millimetro.

Mens sancta, attaccamento ai valori della patria, questo è il modello martiriale di Agata. Mi è preso il vezzo di domandare a un devoto. Sei devoto? E che significa? E Gesù e la preghiera? E lui: mi vesto, sono solo devoto, e qualcuno va perfino a confessarsi.

L'ultimo affronto è stato l'asfalto sul sagrato del Duomo, solo ieri abbiamo saputo di questa offesa al bello. Dove è finita la società civile? In meno di un mese hanno messo l'asfalto sul sagrato! Ma era per la Porta Santa. (parte 1. segue)

sabato 16 gennaio 2016

Titoli postali

Dopo il crack i clienti soci di quattro banche del centro Italia non hanno visto più un euro dalle obbligazioni, comprate come sicure al 100%. Ora si vedrà chi è stato rapinato e chi si è truffato da solo. Dopo poche settimane accendi la tv e vedi uno spot con altri rapinatori. Peccato che promuove i titoli postali, altre obbligazioni che rendono di più dei soliti Bot.

Si vede una scena del vecchio Far West, ti spezzano le reni a colpi di pistola quando entri nel saloon. Con le obbligazioni protette e garantite delle Poste italiane, invece, sei al sicuro al 100%. Lo dice un tipo con cappellaccio e la barba da bounty killer. Fidati del duro cacciatore di taglie, il profitto passa dalla pistola.

Tutte le banche vendono ai loro clienti dei pezzi di carta che promettono soldi per il futuro. Uno di questi pezzi di carta si chiama obbligazione appunto. La banca incassa il liquido contante dal cliente e si obbliga verso il cliente a restituire altri soldi, più soldi pensa il cliente. Più soldi pensa anche la banca. Perchè la banca compra a poco e vende a tanto, come accade in tutti i commerci.

La fantasia corre nella finanza di cui la banca è espressione popolare. Perciò ora l'obbligazione la chiamano bond per far piacere ai palati raffinati. Ma non è James Bond. Si chiama obbligazione anche il Bot, il buono del Tesoro dello Stato che dopo tre mesi ti dà 100 euro quando tu ne hai pagati 99,9 per esempio.

Ma ora, come sempre, i tempi sono cambiati. I tempi sono ricchi di gente che vuole i tuoi soldi da tutto il mondo e la lingua batte dove il cliente duole. Più soldi vuol dire più concorrenza. Ci sono decine e decine di bond di ogni marca e pelatura. Chi la vende cotta e chi cruda per avere i tuoi soldi. Alla fine ricevi un interesse passati sei mesi o forse 12 e ancora dopo ricevi la proposta di rinnovare il tuo profitto rinnovando la scadenza dell'obbligazione.

Finito un bond ne comincia un'altro, cosa te ne fai dei soldi se non li fai lavorare. Così per anni non rivedrai più il tuo capitale. A meno che decidi di investire su qualcosa che si tocca con le mani. Sennò lo rivedranno i tuoi eredi o qualcun'altro e va bene lo stesso. I soldi fanno soldi. Ma se non li spendi è come non averli. anzi è peggio. Perchè ci perdi anche tanto tempo per pensare. E il tempo è denaro.