Da una parte entra la luce del mattino, riflessa da una boscaglia e alberi di limone. La piccola finestra a vetri sotto il tetto del soppalco, invece, è ancora chiusa alla nuova aria del giorno. La ragazza ha aperto gli occhi un'altra volta verso le travi di legno e respira piano. Il viso si è disteso come un fazzoletto bianco dopo il passaggio del ferro da stiro.
Davanti alla terrazza gli alberi si sono fatti una giungla. Il giardino della terra di fumi e venti è invaso dai rami e le foglie a forma di lunetta nascondono il mare a mezzogiorno. I suoi capelli muovono il sudore della fronte, affondo il naso nella federa ma non posso più dormire. Puzza di fumo di sigarette e di perline colorate, questa non è casa mia. Meglio se prendiamo un caffè e usciamo verso il mare passeggiando tra le rose.
Il capitano e il suo equipaggio arrivano sulla spiaggia nera di pietre levigate. Chiede se siamo turisti o degli abitanti. La sua faccia di banchiere inglese è piena di solchi. Ora fa un segno verso il barcone ad alberi a vela lungo tanti metri. La moglie e la coppia di amici lo seguono verso un gommone.
Lontano verso il porto passano due amiche e si stendono a fianco. Ci asciughiamo dall'acqua fredda, l'aria di zolfo e di radiazioni fa bene e chiarisce le idee. Un elicottero va e viene, porta dei grandi secchi e li svuota dentro il cratere.
- Volevo mandarti a quel paese, ne avevo voglia.
- Ma no.
- Poi ho pensato, in fondo non ci siamo mai visti.
- Ecco, infatti.