giovedì 31 marzo 2011

Back to your ma

Mi perseguita notte e giorno. Di preciso cosa vuole non si sa. La sera accende le candele e fa i suoi malefici. Complotta, fa gli esorcismi, brucia incensi e non passa tempo che chiama. Deve parlare di una cosa, anzi di un'altra cosa. Subito deve toccarmi, non per saltarmi addosso ma per chiarire tante cose una volta per tutte. Ci vediamo entro e non oltre la prossima settimana. Sarà come porre fine a questo stillicidio.

E' stata una lunga attesa. Da ora in poi tutto sarà più chiaro perché, finalmente, è così che si deve fare.
- In modo definitivo, ora e per sempre parleremo e saremo di fronte l'uno con l'altro alle responsabilità.
- In un momento così gravido, speriamo di farcela.
- I sotterfugi no, neanche i colpi bassi. Potrebbero sembrare mezze verità.

Passa i giorni a fare le carte, poi gli amuleti, i tarocchi e, infine, il pendolino. Risponde alle domande sul dove e sul come e sul con chi, a seconda se si ferma da una parte o dall'altra. Intuisce e procrastina le decisioni sulle mosse da intraprendere dopo aver parlato a consulto con due o tre amiche, di quelle vere perché delle altre non ci si può fidare.

- E tu che fai, intendo, cosa hai fatto? Sei stato in giro a fare che cosa? Però anche io negli anni da bambina rincorrevo le ombre su un muro dalla finestra di un caravan. Non voglio permettere che tutto questo abbia un senso diverso, le mie cose non le capisco.
- Mamma ti deve dare il latte?

mercoledì 30 marzo 2011

Donna in una gabbia

Una donna fuma come i giocatori di poker
la sigaretta verso l'interno del palmo tra il pollice e l'indice
prende fiato per aspirare meglio il fumo di fuori
strizza gli occhi e soffia sopra la testa

Una donna con la giacca a quadretti
parla e ride forte come i carpentieri
agita le unghie laccate di grigio perla
guarda e morde le sue labbra ma pensa di farcela

Una donna allo specchio gira una scatola di sigarette
ormai tutto è stabilito e tutto non sarà come prima
domani incontra il suo uomo per tutto il week end
- Potevo fare tutto per te, ora ti ho dimenticato

lunedì 28 marzo 2011

Ortega e Milano si danno la mano

La gente è attratta dalle grandi città come seguisse un pifferaio magico. Già ora più della metà della popolazione mondiale vive in un contesto urbano, ma si stima che entro il 2030 i due terzi degli abitanti del pianeta saranno costretti in un appartamento. Le megalopoli, le big cities, vedranno una crescita rapida sopratutto in Africa e Asia. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, la popolazione urbana dell’Asia crescerà dagli attuali 1,36 miliardi fino a 2,64 miliardi nei prossimi 20 anni. Mentre in Africa si passerà dagli attuali 294 milioni finoa 742 milioni e in America Latina la crescita urbana determinerà il passaggio da 394 fino ai 600 milioni.

L’esodo dalle campagne si trasforma spesso nello squallore dell’ambiente delle periferie. Gli esperti stimano che più di un miliardo di persone vive negli slums, i bassifondi ai margini dei centri maggiori. E che, anche sotto la spinta dei movimenti politici interni contro le dittature, almeno dieci mila persone al giorno cercano nuova ospitalità. Le città e i loro sindaci dovranno assicurare i servizi dei trasporti, la fornitura di energia, le condotte di acqua potabile, le forniture di cibo, la gestione dei rifiuti.

Emigrare in città non migliora, di per sé, la qualità della vita delle persone ma apre nuove opportunità di crescita per alcuni settori. Ho chiamato l'idraulico Vinicio della ditta Fratelli Ortega per svitare un tubo del lavello e recuperare un gioiellino finito nel gomito di ottone. Viene dalle coste dell'Ecuador e dalla foresta pluviale amazzonica, infatti porta i baffi spioventi. Anche io vengo dalle coste vicino a un vulcano. Carrù e Milano si danno la mano, dice l'insegna del macellaio più caro del mondo di corso Italia. Noi non siamo da meno, l'indio milionario e il povero siciliano.

venerdì 25 marzo 2011

Un certo Ignaccolo

Un certo Luigi Ignaccolo ha bussato alla mia porta. Si presenta come un torello dall'occhio pesto dentro la testa rotonda. Vuole la mia casa a solo 160 euro al mese per lui e la sua famiglia di cinque persone. L'ha vista sempre chiusa, ora che ha il cancello forse è il momento di abitarla.

Forse ha ragione, il mio ranch del far west potrebbe cambiare formato. Luigi entra con la sua famiglia e lascia libera una stanza. Quando arrivo, li saluto e ci prendiamo insieme un piatto di pasta con la ricotta. Può essere che la moglie nel frattempo mette un gallo e qualche altro animale con le piume tipo delle oche. Se arriva Jano Barbagallo ci avvertiranno: allarme, uno che stona la testa. Poi se resto a dormire la sera cercherò di non cantare troppo forte.

Zio Johnny aveva detto subito che gli ulivi erano allineati male, che le agavi con le spine non servono a niente e che il limone messo in mezzo è perduto. Ma ora sono passati dieci anni e gli ulivi restano dove sono anche se storti. Chiederò un parere a Nino Pedalino, quello delle balle di fieno, su cosa è meglio fare. Ignaccolo e i suoi potrebbero far crescere i fiori di rosa che abbiamo piantato io e Nino, o i gelsi neri e il resto degli alberi intorno alla casa. Qualcuno deve dare l'acqua alle cose quando è il momento.

- Prenda informazioni su di me, può parlare con i fratelli Vasta. Sa quanti anni ho lavorato nei giardini di Polmone? Le case stanno in piedi se c'è qualcuno dentro. Se restano chiuse a poco a poco si sdirupano.
- Ignaccolo, le faccio sapere.
A chi appartengono le cose che non usiamo? A cosa serve avere qualcosa? Perchè non dobbiamo condividere quello che abbiamo? Anche il principe ha un feudo, lo visita per le feste e non lo coltiva direttamente. Io non sono un principe ma potrei diventarlo.

martedì 22 marzo 2011

Ragazzi del liceo

Ho messo la sveglia per essere puntuale, devo incontrare gli studenti nell'aula magna. Una tazza di caffé poi la doccia per togliere il velo dagli occhi. La rassegna stampa della radio ha detto che i mercenari assediano Bengasi per mille dollari al giorno. Il governatore della Libia vende cara la pelle al presidente dei francesi. Massacrano gli insorti e forse è troppo tardi per salvarli. A trenta chilometri da Catania partono i caccia o gli aerei ingombranti nell'aria di Sigonella. La Sicilia è un continente in mezzo al mare, la base per arrivare nei paesi arabi e portare la democrazia e gli elettrodomestici.

Io invece vado a Paternò, a sette chilometri da Belpasso. Stamattina sono insieme ai ragazzi del mio vecchio liceo a parlare di finanza, malavita organizzata e denaro sporco. Una si alza e dice: - Scusi ma il riciclaggio è come la svalutazione di una moneta? A scuola non si parla di numeri e di economia. Cos'è un quintile o una media ponderata? Meglio non sapere perchè e come vi stanno derubando fin da piccoli. La Cina schiaccerà le economie e il vostro benessere. You better start swim or you sink like a stone, 'cause the times they are a-changing.

Porto le scarpe nere e lucide, quelle scomode della laurea e di altre cerimonie. Sono come una porta stretta per andare da qualche altra parte. Sono il prezzo da pagare per sentirsi rispettati. Ma oggi è la mattina del primo giorno di primavera e torno nelle stanze del mio liceo a parlare delle mia specialità. Sono contento di essere qui, ragazzi. Fate qualcosa per togliere la monnezza dalle strade, studiate un sistema. Niente da fare. Le buste di plastica e le ante della cucina rotta non si toccano. Se organizzi una pattuglia di volontari e la butti via ti denunciano per appropriazione indebita di spazzatura o cose del genere, cose dei pazzi.

Ho rifatto la stessa strada che ho fatto per cinque anni tutti i giorni fino a giugno del '75. Giardini di aranci, discariche di aranci, uliveti e agriturismi sono davanti all'altare della montagna con la sua neve fresca. Eravamo in tre o quattro a farci compagnia su quella strada. Nino Sava, Nino Motta e Carmelo Guglielmino prendevano a camminare verso la barra della ferrovia e alzavano il dito per chiedere un passaggio. I sette chilometri al giorno passavano lenti dentro i vetri appannati di un autobus, io parlavo di rivoluzione e una mi chiedeva dei poeti francesi. I capelli crescevano e li portavo indietro con le mani. 

Alla fine dei discorsi la professoressa Rapisarda mi regala un libro illustrato con la torre normanna in copertina. Uno dei ragazzi più svegli con l'aria da saputello andrà alla Bocconi di Milano e mi chiede qualcosa sul debito pubblico. Abbiamo un debito così grande verso qualcuno più grande di noi.

giovedì 17 marzo 2011

Vino fino alla feccia

Ero in banca a parlare con Francesco, il cassiere preciso che perde tempo. Mi stavo annoiando a sentirlo, mi sono girato e ho incontrato Michele in uno dei pochi posti per socializzare, la coda allo sportello. Dice che il vino va ripulito dalla feccia dopo la fermentazione di ottobre. Verso il giorno dei morti a novembre lui fa il travaso con la luna calante e senza vento.

- Al momento della pigiatura lo zucchero deve essere a livello e, se c'è bisogno, metti a bollire il vino cotto con gli aromi, quelli che ti piacciono. Prima di chiudere la botte aggiungi l'anti muffa ma senza bisolfito perchè il vino te lo devi bere tu. Poi a marzo lo metti in bottiglia prima che fa caldo e te lo porti dove vuoi.

Quest'anno il vino nuovo non c'è. Ho ancora tante bottiglie piene degli anni prima. Devo smaltire gli scarti, capire gli errori e trovare una disciplina. Il lavoro è memoria degli altri ma anche di se stessi. Le bottiglie vecchie non hanno un'etichetta e non si capisce a quale anno si riferiscono. C'è solo il tappo che cambia, uno ha una scritta excelsior, un altro delle stelline. La sabbia copre le rovine, o spazzi via le rovine o diventano una nuova casa da murare.

Michele ha gli occhi nascosti dagli occhiali. Devo mettere i miei per vedere se le sue rughe sono più spesse delle mie. Era un discreto terzino destro, giocava sempre con il suo amico dal braccio corto. Poi ha aperto il negozio di vernici, cambia l'indirizzo ogni dieci anni ma il negozio è sempre in un angolo all'incrocio tra due strade trafficate.

Il suo vigneto è piccolo, sta alla Fossa dell'Acqua, verso ponente dopo la Cois. Il mio vino del 2001 era buono, quello del 2003 si fece acido, di solito travaso a dicembre e imbottiglio ad agosto sbagliando tutto. Ci vuole un'agenda e un calendario da appendere alle pareti. Ciao Michele, grazie. E' la prima volta che parliamo dopo quarant'anni. Ogni cosa viene infine.

lunedì 14 marzo 2011

Cima di rapa

Prendo una borsata di cime di rapa. Costano sui 90 centesimi al chilo al bancone all'aperto del marocchino. Meglio stare al suo fianco per sentirlo meglio. Gli racconto di come ho venduto i 30 quintali di arance per pochi spiccioli e della povertà dei contadini al giorno d'oggi. Parliamo come due impresari dello stesso ramo. Lui vende frutta e verdura, io produco nell'agricoltura biologica e ci troviamo in una piazza di Milano. Dove io ricompro a 80 centesimi quello che ho venduto prima a 18.

- Ciao come stai?
- Bene compaesano.
- Ma tu quanta roba prendi ogni volta?
- Tre quintali di arance bastano una settimana.
- Il prossimo anno te le vendo io, però ne faccio 100 di quintali.
- Il ficodindia lo chiami karmus. O il karmus è il fico?
- Ti basta la cima. Vuoi dell'altro?

Ogni settimana il marocchino si piazza dopo il bancone delle pentole. Il socio del capo dei verdurieri somiglia a un mio amico, figlio del cugino di famiglia Raccuja. Da quando frequento il bancone il sosia mi guarda perplesso. Il cugino Turi, Orazio il Tappo ed io giocavamo a sette e mezzo nel pomeriggio. In palio tappi di gazzosa. Vincevo quasi sempre. Quindi cosa guardi, socio?

Passano i giorni e le settimane quando ritorno sempre alla stessa ora dalle parti del bancone con cime di rape. Tiro avanti stordito dall'insonnia e dalle cadute di stile. Il marocchino è gentile, guardo i pomodori ramati dei sardi e non lo vedo, non lo riconosco. E' uno qualsiasi che scarta i finocchi e preme i tasti per lo scontrino.
- Ciao amico, sei andato nelle tue terre?
- No. Ancora una settimana o due. Poi tutto cambierà nella mia testa. Potresti farlo anche tu (Ma questo non gliel'ho detto). Non so neanche come si chiama il mio amico, nè lui conosce il mio nome. Ci rivedremo ancora, siamo sicuri.

sabato 12 marzo 2011

Camera e gas

La stanza ha un divano con disegni a quadretti. Negli anni settanta lo avranno fatto, come l'abat jour. Che è grande per servire un salone. Invece questo posto è piccolo, da altre parti sarebbe stato un appartamento di ringhiera. La finestra della stanza guarda verso nord; sotto, il cortile è pieno di edera rampicante; di fronte, gli altri appartamenti a chiudere la vista sopra la portineria. Uno di questi ha una ragazza che ride al computer. Un altro un signore dai capelli lunghi e bianchi che fuma mentre cucina nella sera, illuminato dalle luci al neon. Più sotto una signora delle pulizie in grembiule celeste stira una camicia celeste. C'è un brusio di sottofondo per le auto sul selciato o per i furgoni che scaricano carte e cartone. Ma si può dormire o leggere in pace, il vento entra dalla persiana verde pisello, la radio parla del nuovo design sportivo della nuova auto tua a sole 16.300 euro.

Sul letto di misure francesi, nell'angolo come una nicchia, è steso un copriletto a colori di moda tipo bazar. Sul pianoforte elettrico a muro una lampada rossa e un pupazzetto rosso. La candela lunga, regalo di Natale, è giallo oro. Aspetta la Mattie o un'altra festa per essere accesa. A fianco la copertina della rivista di Oreste del Buono a fumetti con disegno anni trenta colorato rosso e blu. Era un omaggio degli anni Ottanta, dopo il mensile Linus, chiamato Dolce Vita in omaggio all'amico Federico Fellini.

Per qualche tempo nessuno disse niente. Fino a che la colombiana Mabel amica di un tipo di Agrigento, disse qui ci vuole un ventilatore. Il suo ragazzo aveva nove anni e portava i jeans larghi. Siamo andati a scegliere il modello entrando in ascensore. Dopo qualche minuto eravamo seduti sulle scale della cantina e la sua borsetta era andata a finire davanti a una porta di legno. Portava la gonna stretta e c'è voluto un pò per capire come muoversi tra le pareti. Per tutta la notte non si dormiva, un pò per il rumore dei vicini, un pò per il puzzo di qualcosa.

Non era troppo forte l'odore ma era una perdita del gas. Lo disse il tecnico con la bacchetta illuminata che a un certo punto fece un rumore continuo. In due minuti spaccò il muro e mise una fascetta. Ritorneremo tra qualche settimana disse. Invece la Sweet Lana aveva il fiuto delle marmore o delle marmotte e disse che era pericoloso anche solo fare un caffè. Detto fatto arrivarono gli altri tecnici che dissero, i tubi sono da cambiare, sigilliamo tutto. Ma lei da quanto tempo sta qui. Io solo da un anno e mezzo, nella camera a gas. Era un posto per vivere o una gabbia per passeri.

mercoledì 9 marzo 2011

Le cozze di Ganzirri

Devo tornarci con te. Abbiamo fatto un giro per la piazza dell'orologio ma non basta. La prossima volta tocca al laghetto con la sua barca di luci colorate e i ristoranti per i nuovi ricchi e le loro donne. La mussaka era buona, mi sembrava di mangiare un pezzo di seno compresso sul tavolo. Eri bianca e rosa allora nel duemila e rotti, dovremmo seguire i piani originali. Una birra seduti davanti al mare e poi le cozze dei laghi di Ganzirri con aglio, prezzemolo, pomodorini. Si segue la riva del mare dell'Orca in cerca dei laghetti artificiali e poi di sera entri nel primo bar e chiedi la specialità del dolciume di bignè con la glassa di cioccolata bianca e nera.

Sono poveri gli abitanti dello Stretto. Vivono in un paradiso di colori e di profumi senza farci caso. Il pescespada lo avvistano sul trespolo delle barche. Di fronte c'è Scilla, il mare con la corrente e la montagna.  In quanto alle cozze lasciamo perdere la ricetta francese. La bambola venuta dal Rodano, Mascherella, aveva messo latte e vino bianco, uno spumante secco, poi pepe nero. Erano buone e profumate, le aveva fatte per me e le sue tette erano più grandi del piatto, almeno quella destra. Il latte sulle cozze aveva messo e poi si era stesa come una mummia o una gatta che sta sempre in guardia.

Tu, però, hai un difetto. Chissà come sei adesso, in fondo sei calabrese delle montagne. Come l'architetto Melia di Serra San Bruno, quello che portava a Roma la fidanzata bambina e la suocera guardiana dal seno gigante. Eri troppo piena in fondo verso l'ombellico quando ci siamo baciati per tre quarti d'ora. Potevo affondare le mani e non trovare più nulla. Invece Mascherella era troppo magra alle ginocchia. Colpa delle scuole medie e delle palestre senza insegnanti. Tutte e due come le sirene, il mezzobusto da esposizione, e l'altra metà come la coda del pesce spada.

lunedì 7 marzo 2011

Ha detto fermati

Ho tempo per bussare alla porta, sentire lo squillo e una risata. Invece sono nel viale della larghezza dove i palazzi sono delle scatolette coi buchi quadrati. La strada davanti corre incontro, l'auto dietro incollata allo specchietto. I semafori si allineano, si passa da un supermercato grande a uno piccolo a uno ancora più grande, le altre macchine viaggiano piano come se portassero dentro un carico di valore.  Più sono grandi e meno si muovono. Si vede che dentro c'è molto comfort o pensano di guidare una navicella spaziale. Infatti chiamano la moglie per dire - qui base Apollo, tu dove sei, butta la pasta. I cerchioni girano lenti, sono lucidi e hanno dei rostri come le bighe di Ben Hur al Circo Massimo.

La risata forte non la sento stasera e neanche il tintinnare dei suoi anelli. Lei è piccola, avrebbe acceso la sua musica afro maghrebina che poi si inceppa e si ripete. Potevo bere il tuo thè e sentire il profumo delle candele dietro le sue spalle. Invece sono in macchina ancora e il cielo non si vede, il vetro è spazzato dal tergicristallo. Neanche una faccia di qualcuno che in piedi parla con altro per strada.

Lei mi ha aspettato a un chiosco di giornali chiuso, ora sta a fianco a me ed è una persona gentile. Ha in testa un cappellino di lana rotondo e la sua faccia è rotonda come gli occhi, mentre le labbra su un lato portano il segno di un morso. Una bocca rossa con una pallina nera ma non è un neo. Neanche un labbro tumefatto, del sangue rappreso che prima o poi va tolto.
- Cosa pensi di fare adesso? Ci vediamo domani?
- Volevo dirti che mi dispiace, non ti sento con me
- Oggi una giornata piena, il mio dentista e le altre storie ...
- Sento che la tua bocca ha l'odore del farmaco. Fermati allora. Sono arrivata.

mercoledì 2 marzo 2011

L'Atzeca Katty

Ero davanti a un pollo con puntarelle e mozzarella. Fuori pioveva di continuo, si erano fatte le due di un giorno di inverno. Nei bordi del piatto una salsa di pomodoro di Pachino, al centro tanti pezzi di petti di pollo perchè lei poteva avere fame. Quando la donna decide non perde tempo e arriva in minuti. Per la donna il mondo è bianco o nero. Per l'uomo è sempre grigio.

Aveva detto o scritto che si chiamava Katty o Catty o Qatty. Era un incontro al buio, lei aveva visto qualche foto spedita in una busta, io invece niente. Di mattina la sua voce a un telefono, una conversazione senza costrutto a base di, che cosa hai detto, non ti sento, dove sei. Il tono era profondo, l'accento ispanico disturbato dal vocìo di una sala parto in una clinica ostetrica. Ho un ascendente tra il personale medico, avrò di che scegliere per raddrizzare le ossa. Ma me la cavo anche con insegnanti, traduttrici, autiste di bus, designer, promoter, artiste del gioiello, segretarie e manager.

Katty dice che è a piedi e non ha capito come raggiungermi. Allora lascio il secondo petto di pollo e la mia casa calda e vado nel freddo mentre lei telefona ogni minuto. Ha un maglione dolce vita, dei pantaloni grigi di flanella e dice di avere una famiglia numerosa. I capelli sono neri e lisci come quelli dei nativi dell'Amazzonia o il popolo Maya, ha il naso degli Atzechi e la bocca degli andini. I suoi occhi luccicano come quelli dei corvi.  E' magra e nervosa come di solito sono quelli del segno dell'ariete. Viene dal Perù ma ormai è naturalizzata, come i commessi dei bar di New York che servono gli spaghetti scotti sulla 56°. I ricchi hanno sempre bisogno degli schiavi ma non li deportano più, vengono da soli con le loro gambe.

Katty si siede e mangia tutto il pollo rimasto, una mezza porzione. Dice che è buono, che sono bravo in cucina. Parliamo di un pò di cose del genere quotidiano. Di un professore di ortopedia che potrebbe essermi utile, di quanto sono bravi a scuola i ragazzi e dei problemi del condominio. Ogni tanto spingo sul suo braccio come per sentire la consistenza ma non ci sono reazioni e neanche altre cose oltre alla comprensione. Si è fatto tardi verso le tre e mezza, dice che è l'ora di andare e comprare i regali per tutti. Magari ci vediamo ancora, chissà, un'altra volta. L'atzeca esce dalla porta con il suo cappottino, la accompagno con un sorriso e mi metto a dormire per un paio di minuti. Katty ha chiamato ancora qualche tempo dopo e il telefono ha squillato senza rispondere. Non c'ero.