giovedì 2 settembre 2021

Un muro nella testa

- Hai detto che ti chiami Serena, mi ricordo che ti chiami Serena. Non è vero?

- No, io sono la Brunella.

Avevo immagazzinato l'idea di Serena perché Serena è nome lombardo. Non che questa Brunella fosse bella come la Serena che immaginavo ma per comodità mi ero appoggiato a questa idea per darle un contesto. Per riportarla dentro uno schema notorio. 

E così per più di una volta incontrandola nel parco, lei e il suo compagno Fango, pensavo: ecco la Serena. Pensavo, forse non si chiama Serena ma è il nome che più si avvicina all'idea che mi sono fatto del suo nome quella volta che me l'ha detto.

Infatti Brunella non era neanche vicina alla Serena postina dei partigiani, che era una bionda bella e forte. Eppure ero quasi sicuro. Serena come la partigiana del film sulla resistenza in Val Padana. Come i protagonisti di Novecento di Bernardo Bertolucci o di Citto Maselli, donne partigiane in aiuto di compagni partigiani. Il popolo buono, il bello della rivoluzione poi estesa dal dopoguerra al 68.

Peccato poi che per Bertolucci i figli della sua rivoluzione sono diventati i Dreamers di Parigi, dove i fanciulli si ubriacano del vino buono dei genitori e montano una tenda in cucina. Tutta una scusa per riportare il ricordo di Marlon Brando con gli ultimi fuochi di ragazzini angelicati. Ma non importa, le ultime opere dei grandi autori sono sempre un disastro.

Insomma finalmente ci siamo chiariti. Sei Brunella e non sei Serena. Meno male, perché a furia di non risolvere i conflitti si finisce per essere vittima dei conflitti. Così abbiamo messo una parola fine al dilemma. Rimane il dubbio di come sia possibile che il volto o il corpo o il contesto parlino insieme e portino a un solo grande misterioso corpo del ricordo.

Certo è così. Ma allora chi era la partigiana del film che prendeva la bici e andava a portare messaggi. Quella si assomigliava tanto alla Paola. Allora Paola era come la protagonista del film. E Serena allora?