venerdì 31 dicembre 2010

Train of love

Just sitting here in this train chair
I believe tonight I dust my head
this morning fog is black like milk
I wonder why my dad was sick

As I rolling and tubling before I die
Don't want to know if you say goodbye
My baby is gone in the Berlin town
She said my wishes are going down

Boys and girls come to Rome
they say goodbye to this years with love
I'm going down in this rivershore
When you gave one time a lethal dose

giovedì 30 dicembre 2010

Dinamica del venire

Ero entrato dentro di te unendomi a te come in uno sport di scivolamento acquatico.
Tu stavi con la schiena appoggiata al letto e per un qualche quarto d'ora ci siamo baciati.
La luce era sul giallo rosso, l'aria era calda come di minestra e di cioccolattini sgusciati.
Il respiro si è fatto sempre più forte fino a quando la mia testa si è fatta come una nuvola.
Allora mi sono fermato a guardarti perchè l'amore si fa in due e io sono dentro di te.
Ho sussurrato qualcosa come per dire, ma quanto sei bella adesso.
Poi ho ripreso la danza jazz attorno ai tuoi fianchi e senza fine.
Ma la fine è arrivata quando ho sentito che era arrivata la fine di questo amore serale.
Il tuo respiro e la tua voce si sono alzati e allora anche io ho fatto lo stesso.
Sono uscito dal tuo corpo e dal mio è uscito un liquido che ho trattenuto con la mano.
L'amore alla fine dell'amore assomiglia alla convulsione della morte e della nascita,
assomiglia alla sceneggiata e alla caduta dentro l'area di rigore.
La fine dell'amore ricorda il duello al sole tra i gringos dentro la staccionata.
Lui si contorce colpito dalle pallottole allo stomaco, lei attonita come Santa Teresa.
Ho tenuto una mano sullo stomaco appiccicata alla pelle come fosse di pece.
Potevo essere colpito a morte e dal mio corpo trafitto sarebbe fuoriscita la vita.
Non so se ho risposto alla domanda. Accadeva nell'epoca dei fatti andati.

mercoledì 29 dicembre 2010

Vento da naca

Mi hanno dato il nome del padre di mio padre. Mia madre dice che non sopportava le luci accese la notte prima di partorire. Neanche io le sopporto in faccia quando sono a letto. L'ospedale dove sono nato è dedicato al Bambino Gesù anche se non ha niente di dolce e carino ma ha le pareti beige e gli infissi di alluminio. Mia sorella, otto anni dopo, invece, è nata in casa con la levatrice, la signora Nuccia.

Mia madre dice ancora: “Benediciamo u vento da naca". L'aria mossa dal dondolare della culla tra i due ganci spinta da una mano è il vento. L'amaca improvvisata negli angoli della casa è la naca. "Stù diretturi da clinica si chiamava Giuffrida, aveva 65 o 70 anni. Una mattina è passato con i medici più giovani e gli infermieri e ci disse - La testa di stù picciriddu è cchiù nica del seno che gli dà il latte.”

La mia casa era di rosa corallo. Sono cresciuto tra i profumi e gli odori di foglie di aranci, di conigli nella gabbia, terra bruciata, dalie nel vaso e grano ammassato nella cantina come il monte dorato di Zio Paperone. A maggio le donne del quartiere venivano nel pomeriggio a cantare le lodi alla madonna per un voto di dieci anni. La stanza era celeste alle pareti e bianca per i vasi di fiori, le trombe del Paradiso.

Sono andato via che ero giovane. Ho fotografato gli striscioni della rivoluzione, sono andato al funerale di Moro e poi di Berlinguer stringendo la mia ragazza sulle mura romane del Colle Oppio. Mi sono innamorato tante volte. Quando mi sono innamorato per davvero potevo avere un figlio. Ma non è successo. Molte volte mi sono perso. Poche volte ho trovato la strada. Adesso torno sempre dove sono cresciuto. Come un cavaliere di ventura, un ladro della mia stessa casa o un viaggiatore alla taverna che chiude la sera tardi.

domenica 19 dicembre 2010

Convertire l'avvoltoio

Ho certi amici parassiti malgrado loro. Come invece ne ho altri meravigliosi. I parassiti non ti chiedono qualcosa, però si aspettano che tu faccia qualcosa. Ce n'è una, per esempio, che io chiamo Patty. Sotto Natale ha preso una cassa di bottiglie di olio di oliva da portare ai suoi piccoli rondinini. Ero con lei al bancone quando la vedo sotto il peso del cartone di sei bottiglie da un litro.
- Pensavo di portare le bottiglie a due a due in bicicletta.
- Ma te le porto io. Mettiamole in auto se vuoi.
- E se poi l'olio si ghiaccia nel cofano? Ce la fai a portarle stasera?
- Certo che se l'auto sta fuori e si ghiaccia anche l'olio nel cofano. Ma poi si sghiaccia.
Sono come degli avvoltoi, girano al largo e non si sente il rumore. Poi ti giri e stanno li a guardarti con i loro occhi di ghiaccio. Parlano poco e quando lo fanno sussurrano. Forse non sono dei veri e propri amici come quegli altri. Non solo approfittano di te. Neanche ti ringraziano perchè il calore li ha abbandonati fin dall'infanzia.
Per riconoscere il parassita avvoltoio non basta chiedere se è un pisano o un marchigiano. Devi sentire dalla stretta di mano o da qualche dettaglio come gli occhi pesti e la magrezza innaturale. Il priccante avvoltoio passa e spassa. Ognuno sopravvive a modo suo. Prima o poi lo mollo. Oppure punterò come sempre sulla sua conversione.

sabato 18 dicembre 2010

Vittoria di Alem

Alem la pittrice eritrea organizza una cena a casa sua. Mi invita perchè ho comprato il suo quadro intitolato Vittoria. Era l'ultimo rimasto ma non per questo il più brutto. Alla cena si presentano personaggi variegati come il gelato al cioccolato belga squagliato un pò nel freezer. A Milano usa il gusto gelato variegato. Avrei voluto portare con me Agota perchè aveva l'aria di Edie Segdwick e qualcuno assomigliava anche a Andy Wharol parlando di pittori. Ma nel frattempo è andata via, a scroccare il suo prossimo piatto di minestra. Così Agota l'ungherese forse adesso si è data all'accompagnamento e incontra un tassista privato bergamasco che a sua volta accompagna gente con Mercedes.
C'è musica etnica ma nessuna rivoluzione nell'aria stavolta. Alem ha cucinato roba forte e piccante mostrando i suoi quadri naif verdi e rossi. C'era anche Anna la triste, a forma di Medusa del Caravaggio, che aspettava invano la telefonata di un uomo meraviglioso di Torino.
- Conosco un'altra tipa che aspetta le telefonate.
- Sarà lo stesso uomo?
- Le cose stanno cambiando tra uomini e donne.
- Mi aveva promesso che forse stasera...
- Avrà avuto dei problemi con il ghiaccio della strada. E poi la città è più lontana di quanto non sembra.

mercoledì 15 dicembre 2010

Due atmosfere

Ho un ranch nel far west. Senza acqua corrente, senza tv, senza carta da parati. La luce elettrica la porta un palo e le stanze si illuminano. Il pavimento è lo stesso cotto siciliano 12 per 12 che aveva nonna Micia nella masseria di Franchetto più avanti. Qualcuno ha portato via l'antenna tv perchè gli serviva e perciò ora è rimasto solo il palo su un lato della casa. Le quattro stanze sono in fila una con l'altra e si attraversano come quando a Versailles il re di Francia attraversava le sue. Queste hanno un difetto, non hanno finestroni ma solo porte di ferro.
- Le facciamo verde bosco. Va bene?
- Sì, va bene verde bosco. Ma il bianco delle stanze che bianco facciamo...
- Bianco bianco. Come esce dalla latta!
Quando dal cielo  piove  l'acqua scende dai canali di terracotta del tetto accostati e incavalcati uno sull'altro. Da un tubo di alluminio, se i passeri non l'hanno intasato, la pioggia riempie la cisterna fino a un punto di colmo, il troppo pieno. Da lì in poi tutta l'acqua se ne va per la terra da un tubo laterale. Ne approfittano l'albero di fico e l'ulivo cresciuto il doppio degli altri.
L'acqua va e viene però nel lavabo e nel water spinta da una pompa sommersa e da altri ritrovati della tecnica. Ci vorrebbe un idraulico ogni tanto ma qui nel far west, alla Kiana, passano solo le macchine grandi di Nino Pedalino o di Angelo Magrì. Parliamo di gente conosciuta. Gli altri che attraversano la luce di fronte al cancello guardano e uno ogni tanto saluta. Pensano di salutare qualcun'altro ma io li saluto lo stesso. Nino mi aiuta per le rifuse, un anno ha messo il fieno e poi ha girato le balle come rotonde sul mare. La bolla in pressione non funziona sempre e l'acqua non arriva a destinazione.
- E che ci vuole? La porti dal gommista e la gonfi.
- Come una ruota di gomma...
- Sì, a due atmosfere.
Poi posso fare la doccia e l'acqua ha il sapore e l'odore dell'acqua piovana.

giovedì 9 dicembre 2010

Non la riconosco

Devo ereditare una salma di terra e un mezzo garage da mio zio. Ci vuole un documento del comune.  Ho bisogno di un certificato per il prossimo lunedì mattina ma per averlo on line devi avere il pin che puoi richiedere on line chiamando dalle ore oppure, più facile, acquistare in lettore di card e infilarci la card regionale dei servizi. Faccio il numero verde del servizio on line del comune, risponde un signore gentile. Mi richiameranno dopo, nel 2014, e lo invieranno per posta.
Per non perdere tempo on line e non stressare i sistemi informatici vado in bici fino al palazzo dell'anagrafe.
- Favorisce un documento prego.
- Ecco la patente.
- Scusi ma chi è questo? Io non la riconosco.
- Come non mi riconosce?
- Non la riconosco. Lei non ha la carta di identità? La patente è valida ma io non la conosco.
- Guardi che la patente è un documento di identità.
- Si certo ma la foto è del 1978 e io non la conosco.
Vado allo sportello 19 dove c'è un addetto al riconoscimento. Ha un orecchino e non porta la stessa collana con la stella a sei punte dell'altro. Fa il certificato e chiede sei centesimi.
- Va bene. Me li dà la prossima volta.
Lo zio si chiamava Giovanni ma dice che gli inglesi lo chiamavano Johnny quando sono arrivati alla masseria di Monaco. Zio Peppe e cugino Vito lo chiamavano Johnny. Mio padre lo chiamava compare perché aveva battezzato Mimma, mia sorella. Che non vedo da quest'estate. La riconoscerò?

A Vasadonna

C'è una strada che mi piace fare perché è vuota di altre macchine. Sale verso la collina lasciandosi alle spalle gli uliveti e gli aranceti del feudo di Valcorrente. Si passa da Vasadonna e poi dalla chiesa della Misericordia. Ogni curva è sempre più ampia e dal muretto di pietra il ciglio, senza avviso, diventa un guardrail di lamiera. Più avanti c'è il campo di calcio, il comunale del San Gaetano coi suoi eucalipti a fare da frangivento.

Mi sono fermato davanti alla grande siepe sulla curva, forse tre anni fa in queste settimane e col cellulare ho fotografato la matassa di verde e di rosso. Poi ti avevo spedito il souvenir di un mazzo di fiori virtuali. Tu mi scrivevi ogni tanto e io ti rispondevo risparmiando sullo psicoterapeuta. Anche altre volte, nelle diverse stagioni, per la stessa strada sempre in salita, si vedeva questo broccolo infiorescente. La siepe ora ha sommerso il guard rail. Nessuno la cura e chissà quando improvvisamente sparirà bruciata dal fuoco.

Ho pensato che anche la nostra amicizia si sarebbe dissolta così come è nata. Ho pensato anche che eri presa dalle tue creature, che mi pensavi ma non mi scrivevi più. E così era. E' una siepe spontanea che mi piace curare, la nostra amicizia, perchè è nata ai bordi di una piazza e vive appesa a un muro o è sospesa. E' come la bolla dell'aria che gonfiava le camicie dei ragazzi aggrappati all'eucalipto. L'albero alto, allora, si piegava a dondolo avanti e indietro con lo stesso fruscio.

mercoledì 8 dicembre 2010

In the rain of Bergamo

We stand in line for a concert ticket and a coffee in a small cafe in Bergamo. As I standing inside the rain I hear a voice calling on a microphone after the fanfara introduction. He is the same old road manager voice. "Please welcome Columbia Recording artist, the poet laureate of rock and roll", this time with a quite and more profound semi tone. He also stops at "substance abuse" and "meet Jesus". And finally Bob Dylan in person and still alive, appears to thousand and a half people late in september 2008.
Bob is in black suit. Cap is white with a feather on the left side. He love that since seventies and you see in Us Rolling thunder review. And thunder is in the air at the top of the hill, north in the valley, 30 miles from Milan. This is the city of Resurgent Mille for the New Nation. But one thousand soldiers went to South of Italy in 1861 and they came from Bergamo. Strange that now they host a secession movement and party Lega Nord. They shout against central power of Rome, the Capitol Town of Thefth. 
It's a cold raining now. He sing Just like a woman (people with a candle light).
Nobody feels any pain
Tonight as I stand inside the rain
Ev'rybody knows
That Baby's got new clothes
But lately I see her ribbons and her bows
Have fallen from her curls.
 He also sing Tom Thumb' Blues
When you're lost in the rain in Juarez
And it's Eastertime too
And your gravity fails
And negativity don't pull you through

After all he's an occasional entertainer, a singer for one event. His first composition was a MotherDay baby poem. He has a great voice tonight with high and lows as a crooner. Some mistake in Moonlight is forgiven. The nadir of the night was the boring Honest with Me. And Highway 61 went in a routine way. The man plays harmonica in a Happy birthday for a friend before Thunder on the mountain. He sang delicate and sublime as possible. Every verse of Hard Rain is a profecy but he misses the last one, "And I know my song well before I start singing".
Danny Freman solo in Like a Rolling stone was new and great. He invented a new melody. At the end Bob was pale like a ghost, got the harmonica and say hello friends with a smile.
And she takes your voice
And leaves you howling at the moon.

martedì 7 dicembre 2010

Temptations

Era d'estate prima degli esami della maturità e andava tutto bene. Il paese era in festa di sera e di domenica, il cielo azzurro e l'aria restituiva il fresco profumi dei fiori a consolazione del freddo e del gelo dell'inverno piovoso. I turisti tedeschi, di mattina presto, salivano in auto verso la montagna. E le ragazze camminavano con le gonne corte sulla pietra nera del decumano romano. Dicevano la Strada Dritta, ora via Roma (la ex Via Etnea), con un marciapiede ampio rifatta nel settecento dopo i sette terremoti e le slavine di pietra incandescente.

Io portavo la maglietta con le strisce orizzontali, i capelli erano più lunghi buttati indietro e i pantaloni si aprivano a zampa d'elefante. Nel pomeriggio, sulla vespa con Pippo Katango, inseguivamo le femmine o passeggiavamo davanti casa perchè a volte stavano all'ombra dei pergolati. Le caruse si affacciavano dalla finestra e noi tornavamo indietro due o tre volte. Le madri, intanto, passavano i pomodori pelati nel forno per togliere i batteri, i padri dormivano prima di andare nel giardino degli aranci.

Gli esami della scuola erano duri e chiunque aveva paura. Si studiava per la sessione di luglio quando davanti a un bancone di giudicanti passavi l'interrogatorio. Dovevo scrivere di un triestino dal volto triste. Era Italo Svevo, il pioniere dell'inquietudine selezionato da Salvo Di Lorenzo, il professore occhialuto e dal naso dantesco. Il prof catanese aveva letto i miei temi sul foglio protocollo piegato in mezzo. Parlavo del senso di vuoto e della vita priva di senso. Anche se invece dei bluson noir parigini portavo le zattere ai piedi e a ferragosto con la Mary ci baciavamo sotto un gelso.

Comunque Svevo parlava di un impiegato delle assicurazioni steso dalla noia e dal rimorso. Parlava dell'inquieto vivere sotto le sembianze dell'inutile girare intorno alle cose. Anche oggi mi è apparso un Di Lorenzo dal volto sornione sotto le sembianze di uno scrittore di romanzi della finanza. Vuole sapere cosa ne penso del suo romanzo su tale Corinnah Kroft. Un vero furbone delle sette cotte. Invece il primo Di Lorenzo della mia vita mi aveva regalato il libro su Zeno e già in primavera a maggio lo avevo sfogliato su un prato di erba del tiro al piattello.

A luglio si doveva studiare e con un altro Pippo, quello di San Giuseppe, andiamo al fresco di montagna. Prendo la macchina alle cinque di pomeriggio e vado a raggiungerlo. Un mangianastri a cassette e a batterie teneva il tempo di soul, pappapà-pappappàppa, per le strade strette a 800 metri sul mare alle porte del vulcano. La macchina andava con i finestrini aperti nel pomeriggio tra il verde dei castagni al ritmo dei Temptations. La guidavo senza patente con il braccio fuori dal finestrino, come quando a Ramione ho preso una sbandata dopo la curva. Ora, però, non rischiavo di prendere alberi ai bordi delle cunette. La 850 saliva più docile verso il monte di Santo Leo, un cratere spento circondato anche dagli abeti. Andavo alla casetta di Nino Sava a dormire in montagna e studiare prima degli esami. Pippo citava i suoi compagni dotti catanesi. Che in italiano traducono dal siciliano. "Sono andato a fare una gita con una quella di amici". Dove quella sta per alcuni. La macchina volava silenziosa nel cielo sopra la pece nera e nel giallo delle ginestre.

venerdì 3 dicembre 2010

Pippo Katango

Io non parlo l'urdu. Ho mentito, è vero lo confesso. Volevo solo farmi notare o forse era una nota stonata per essere divertente. Mi piace essere divertente quando mi sento bene. Mi piace condividere il positivo, meno il negativo.

Ho detto di sapere la lingua urdu non sapevo neanche dove si parlasse l'urdu. Invece la parola urdu fa rima con urzu, che vuol dire grezzo nella mia lingua siciliana. Una persona urza è una persona poco urbana.  - Ma quanto sei urzu! dicevano a un terzino della nostra squadra di calcio. Io avevo i piedi buoni, invece Pippo aveva i piedi come il ferro da stiro. Gli avversari attaccavano sulla destra con l'ala destra. Pippo si presentava davanti e spazzava la palla. A volte spazzava anche l'avversario. E allora il tifoso critico gridava a Pippo: - Urzu! Lo gridavano anche ad altri, a tutti quelli che rovesciavano per la terra senza erba avversari pericolosi.

L'urdu si parla in Afghanistan o Pakistan. Mi sta simpatica la parola. Mi stanno simpatici i pakistani per via della somiglianza con certi miei parenti o paesani siciliani. Quando vedo un pakistano che vende i fiori all'angolo con la sciarpa mi ricorda un mio cugino di secondo grado. Ha la stessa forma della testa e le stesse mandibole. I pakistani sono silenziosi e fanno il loro lavoro. Forse per questo mi sento vicino ai pakistani. Mi sento vicino anche a Pippo in fondo quando rovescio le tazzine del caffè per l'imbarazzo. Per questo ho deciso di chiamarmi Katango, un dinosauro che calpesta i grattacieli. E anche perchè mi sento vicino anche al mio amico Pippo. Che infatti tutti chiamavano Pippo Katango.

mercoledì 1 dicembre 2010

Materasso ad aria

La prima volta che ho incontrato Mary Lanotte aveva un cappottino bulgaro alla fermata del treno. Siamo andati a passeggiare su una strada stretta e asfaltata in direzione del castello di Bolognate, un mezzo metro sopra il livello dei terreni intorno. Lei portava i pantaloni e non ha mai smesso di farlo finora. Forse per risparmiare si nutriva solo di caramelle blu e di yogurt alla mela. Quel giorno stava in piedi con la schiena dritta vicino a un sottopassaggio del treno. Più il tempo passava e più le cose da dire erano andate a finire in un solo vortice di tensione dissimulata. - Perchè ti ho invitato? - Cosa sono venuto a fare fin qui?
Il campo di mais scorreva di lato, i gatti giocavano dietro una recinzione di legni marci e il ristorante era freddo e vuoto come la neve di questi tempi. Quando Mary ha visto il menu è scoppiata in una risata falsa compulsiva. Ho detto al cameriere - Ci porti i quadrucci in brodo. Ho pensato - Almeno ci scaldiamo e poi nel caso si aggiusta tutto con un pò di grana padano. Il tetto era alto e l'ambiente accogliente come una sala da ballo prima del ballo.
In seguito abbiamo preso vari the e caffè aspettando che si freddassero per essere bevuti. Ma il tempo passava senza parole e mi sembrava di essere Oblomov in una taverna oppure qualche marito stanco dopo cena. Nel frattempo lei era passata da un nero dei capelli a un rosso ramato. Abbiamo impiegato sei mesi prima di salutarci con la mano e circa dieci minuti per abbracciarci senza il maglioncino.
Lei adesso lavora in un palazzone dell'ortopedia applicata e ha cambiato corsia di ospedale. Anche la casa è diversa ma ha ancora un problema. Deve ancora comprare un letto nuovo. Dorme su un materasso ad aria compressa che può spaccare qualsiasi schiena. Se ti addormenti da un lato rotoli dall'altro come un cuscinetto a sfera. Adesso Mary ha male alla cervicale, ma io che ci posso fare? Ho le mani pranoterapeutiche, è vero, posso fare un massaggio. Per intanto le ho regalato un ficodindia e insegnato ad annaffiarlo.

martedì 30 novembre 2010

Denti gialli

I denti sono gialli e non porto ancora una cravatta marrone. Così stamani ero convocato per la rituale ablazione del tartaro. La novità è il trattamento che stavolta è andato oltre ogni previsione grazie alla nuova addetta alle pulizie, signorina Lucca. - Si Lucca, ma di nome?. Non si sa.
Nei corridoi c'è un'infermiera isterica e un'altra dolce. Quella isterica è secca come il pesce stocco. Quella dolce è giovane e alta con degli occhi celesti. Il medico, invece, è interista e gradisce i regali dei pazienti siciliani con arance e acciughe da fare in insalata. "Metta anche la cipollina fresca, dottore.". "Ah, questa mi mancava."
Vado dal dentista ultra milionario in zona Lamarmora e ospedali forse dal '92.  In un giorno d'estate tale Pesoli, detto il tricheco per via del lungo riporto dei capelli, ha confezionato un perno di titanio con delle alette proprio davanti al palato di sotto. I dottori milanesi decidono in fretta e in fretta incassano il piano di intervento architettonico sulla tua bocca togliendo e mettendo al suono dell'aspiratore della saliva. La lingua batte sempre sulle alette nella sua parte inferiore, come se mi avessero infilato un morso, come se fossi un cavallo malato o ribelle.
L'ablazione è terminata. L'ortodentica Lucca è anche efficiente. Quando il motorino comincia a frullare lei mi tiene il mento e lo porta verso di sè. Dice: "Alzi il braccio se qualcosa non va". Mi sento fresco e pulito come un cigno sulla sponda del laghetto. Userò tutte le sue indicazioni. Scovolino di sera e anche la mattina, poi un bel colluttorio. Sono pronto per la prova, mi piace l'aglio cotto nella salsa e ovunque.

giovedì 25 novembre 2010

Broccoli affogati

I broccoli che ho mangiato a New York in una sala delle riunioni erano bolliti e senza sale. Stavamo in un palazzo a Liberty Street di fronte alle Twin Towers, saliti in ascensore parlando all'orecchio di un portiere italo americano. Ci apparecchiano davanti togliendo le matite e i bloc notes e piazzano i broccoletti freddi e sciapi mentre uno fa anche i salamelecchi. Pensavano di farci una cortesia, era meglio una bella bistecca di Smth & Swolensky.

Invece i miei broccoli sono saporiti e afrodisiaci. Cipolla rossa, salsicce di maiale a pezzi, pecorino a pezzi, olio, sale, un dito di vino bianco, a fuoco lento, coperti da un coperchio. Al broccoletto si taglia la cima, quella specie di giubba verde a pallini che assomiglia a un pino marittimo maremmano. Si potrebbe anche mangiare crudo togliendo la parte dura del gambo e lasciandone il cuore. Ma sarebbe un'insalata e non lo stufato di verdura da cucinare senz'acqua. Sarebbero i broccoli affogati con salsiccia.

La procedure è sempre quella, i cibi si lessano, si stufano o si friggono. Quello che cambia è come arrivano in pentola. Perciò i piatti dipendono da come e se si tagliano le cose. Per i pezzi di carne o di verdura rimasti interi ci vorrebbe il pentolone da caserma o il forno. Frullati, invece, sono come omogeneizzati per bambini o pillole per astronauti. Nè tanto nè quanto, devi tagliarli a misura della bocca che li mangia o della lingua che li sente.

Alla fine un vino rosso, dei fichidindia freddi sbucciati al momento, cioccolattini, rhum e sigaro toscano. Ogni pezzo è un boccone, ogni boccone è autosufficiente. Di là resta il senso pesante dei broccoli affogati, di qua il sapore della tua bocca e il senso di rivalsa dopo tutto questo annusarsi.

giovedì 18 novembre 2010

Citrullina nell'anguria

- Ero a Milano a settembre e mi chiamano per giocare a pallone di sera tardi
- eh, a settembre, sì
- passo per la circonvallazione e vedo il chiosco delle angurie, non c'era nessuno
- giusta operazione di marketing da parte dell'angurivendolo
- perchè forse il massimo della consumazione di angurie di estate arriva verso le undici o mezzanotte,
quindi mi siedo al tavolo e affetto la fetta di melone rosso e dietro alla parete appesa c'era la fotocopia dell'articolo più o meno lo stesso che citavi, l'anguria come il Viagra, un energetico buono per la mia partita di pallone ho pensato, ma quello che mi piace di questa scena è il deserto del chiosco e lo scorrere del tempo
- tu hai questa mente "cinematografica"...
- i suoni della circonvallazione erano bassi questa volta, il chiosco era pulito coi tavoli puliti, senza tavaglioli accartocciati ed ero seduto sotto un albero sulla sedia di plastica a guardare il traffico della rotonda e le fronde degli alberi mossi dal vento,
ero fermo in una piazza nel lato migliore della strada, respiravo l'aria della sera di settembre mentre le auto diventavano sempre più rare e mentre i padroni del chiosco aggiustavano le loro cose dietro il bancone, preparavano la serata a tre euro a fetta fanno 12 euro a tavolo per quattro persone, erano dei gran paraculi, una fetta 3 euro, un vero furto
- infatti tutto ben confezionato, no?
massì, tre euro per il paradiso! che sarà mai?
non so il viagra quanto costi, ma certo di più.
- quello che voglio dire è che questa fetta di melone rosso che voi chiamate anguria era ghiacciata al punto giusto e io non stavo pagando la fetta di melone rosso, stavo pagando per tre euro la restituzione del tempo che avevo perso per tutta la giornata,
aspetta che ho al telefono Gambacciani, un lettore pensionato
- saluti a Gambacciani. digli della citrullina, magari gli serve

mercoledì 17 novembre 2010

Priccante

Stamattina ho messo un abito odioso. Sembro un priccante, come un corvo nero con le spalline troppo larghe. E' un giacca e pantalone grigio da grande magazzino tipo Sma dall'insegna verde che non esiste neanche più. Tanto è vecchio, tra l'altro. Fortuna che l'ho messo poco. Il fatto è che casca male, troppo lunga la giacca che nel frattempo riporta un buco nella tasca interna. Se per caso metto dentro il cellulare, il cellulare scivola giù in tutto il resto del fondo della giacca. Anche il primo bottone non combacia più con la sua asola perchè è stato riattaccato male. I pantaloni poi hanno un difetto di manutenzione. Si è scucita la cucitura che tiene in pedi la piega in basso e dunque se sbatto troppo i piedi un pezzo di stoffa esce fuori e sventola via.

Dovrei abboattarmi, mi pare di essere un controllore dell'Atm. Anzi, no. Un ausiliario della sosta a tempo determinato senza la solita compagna ausiliaria che gli legge il regolamento. Faccio raccapriccio, pena e pietà. Manca solo il cappello con la visiera e lo stemma del comune sbalzato su un lato. E poi la frittata è completa.
Ci sono quegli acquisti sbagliati che non riesci a digerire e neanche a cancellare. Di quelli che andrebbero buttati via e invece resistono. Come anche le persone, quelle che hai incontrato una volta e ti restano attaccate come i caddarizzi, le palline dei semi di quercia. O qualcosa del genere.

lunedì 15 novembre 2010

Lettere spaziate

Ricevo la tua lettera oggi dopo un anno.
A novembre ci siamo presi e lasciati e a novembre torniamo sempre a parlare.
e ci parliamo senza parlarci veramente, ognuno per conto suo in città diverse,
mentre torniamo a casa ognuno alla sua casa,
e ci diciamo, pensando, le stesse cose che ci siamo dette sempre,
ci prendiamo da una parte e ci abbracciamo senza fine.

Perchè ormai dopo trenta anni non siamo solo noi due che abbracciamo,
ma qualcuno e qualcos'altro oltre alle nostre vite,
stringiamo nel petto dell'altro, dell'altro che ci appartiene
dobbiamo restare insieme per questo adesso e per un altro pezzo.

Poche scosse nella vita, una scossa per i nostri venti anni,
sulla panchina senza spalliera a cavalcioni uno contro l'altro,
un braccio di ferro senza sfiorarsi se non con le braccia,
nelle strade lucide di una piazza rotonda sotto l'obelisco,
in una stanza di tre metri e la sua tavola rotonda,
sulla sedia rossa di un cinema vuoto all'intervallo
con le ginocchia appese al sedile davanti e la tua testa sulle mie spalle,
e la mia testa dentro il tuo seno e noi soli a goderci il senso
di questo stare insieme dopo pioggia, le foto, il gilè sulla pelle e le carezze.

Come è possibile che sia successo tutto questo non lo sappiamo,
ma più il tempo passa e più questo treno merci carico di merci viene addosso
e ci sovrasta e ci rincorre, più andiamo verso il senso della nostra strada e più
il treno di cose lontane nel tempo diventa un respiro come un rantolo dentro di me e di te,
che stiamo appresso ai nostri giorni e alle nostre serate.

venerdì 12 novembre 2010

Tiramisu regalo

Ho preso una torta intera di tiramisu ma gli amici non c'erano e così ho mangiato quattro fette insieme alla Mariposa dell'Ellesponto e alla Suni Schiatze.
I suoi amici non sono venuti perchè il giorno della cena era un altro. Quindi abbiamo cambiato programma l'altra sera. Lei, la tedesca, è la stessa che che ha rifilato a Clemence lo stoccafisso ancora crudo dopo quattro giorni di ammollo. Così adesso ho una mezza porzione di una torta intera di tiramisu avanzato ma è fresco, lo giuro. 
Lo ha fatto la signora della pasticceria di Viale Bligny, quella nera come il corvo e rossa di fuoco come la carbonella accesa. Chi lo vuole si faccia avanti. Purtroppo non posso portarlo via. A sentirlo è freschissimo, forse resiste fino a martedì a pranzo. Madre e figlia lo hanno fatto e dicono di venire da Scilla, la Calabria di fronte a Cariddi. Posso ancora servirlo dopo le pennette allo stoccafisso norvegese che mi hanno regalato in cambio della ricetta. 
Stavolta la tele-ricetta non ha funzionato come nel caso delle melanzane fritte, quindi si è deciso di fondare la Confraternita della Melanzana con la Annuzza. Invece per l'Ordine del Baccalà alla messinese dobbiamo riaggiornarci. Al momento sono in Svizzera a fare il bagno nel cioccolato e a bere il rosè solito di Guido dopo il tonno marinato o la tartare di salmone.

giovedì 11 novembre 2010

Dice le melanzane

Una sera lei stava a letto con la gatta accanto e i due cani per terra. Doveva cucinare per due ma aveva la febbre a 40. Avrebbe dovuto alzarsi e intanto aveva aperto la finestra sugli amici. Si parlava perciò di tulipani e di Charlie Chaplin che inciampa sulla fioraia e si innamora. Si parlava della stagione che va e di tutte le volte in un anno che si ha la sensazione di inciampare e di sentire il suono di un nome o dei propri passi.
- Beh prima dobbiamo passeggiare per quel parco che hai nominato l'altra sera
- Certo, prima di tutto
- Quel "tutto" ha una strana valenza, non è un "tutto" qualsiasi
- Mi fai venire i brividi, mi si arricciano le carni
- E che le parole sono molto potenti. Meglio se parliamo di ricette. Cosa cucini stasera?
- Non lo so.
- Mi è venuta voglia di melanzane fritte.
- Sentiamo come le fai, come le tagli le melanzane?
- Spesse.
- Allora promossa.

mercoledì 10 novembre 2010

Per dirlo

Lo so che tra poco scappi
allora perchè ti preoccupi
perché
non ho le parole per dirlo
perché sei tu, punto
perché i sentimenti e le emozioni che ho provato per te tornano solo per te
e sono quelli che mi fanno sentire bene anche se sto in ansia
ma ora non ci sei
perché a nessuno ho bisogno di dirlo, quello che dico a te
traduci tu, che sei capace
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Soon you leave me again but don't worry, I have no words to say about because you,
my feelings come back here just for you, and they make me feel alive, 
I don't need to say anything to anyone what I say to you, So translate, please. You are able

Sacchetti per il Mondo

Una casa senza aspirapolvere è come una carta sporca, non pare buona. L'allarme arriva da lontano, da questa casa dove sono nato e dove c'è ora un nuovo inquilino preposto alla sua cura. Dice che ha finito i sacchetti dell'aspirapolvere, è andata fino da Euronics ma di sacchetti per il modello Electrolux non se ne trovano. E' la cosa non stupisce perchè il modello è vecchiotto. Ma, scusa, perchè all'Euronics? Lo ha detto Mimma, la mia sorella esperta di cleaning rooms interpellata dalla esperta moldava fino a Terni.

A questo punto ci penso io, le ho detto. Te li trovo a Milano i sacchetti codice Z1172 per il modello Mondo. Anche perchè qui è pieno di negozi specializzati come questo vicino alla Darsena. Infatti sono le ore 12,31 di sabato quando picchio sui vetri del negozio Tutto per l'Aspirapolvere. La signora dietro il bancone poteva aprire, avesse voluto. Invece ha detto con gentilezza: "Apriamo alle 15,30".

E io alle 15,30 avevo da fare con la Suni Schiatze, la tedesca che mi ha regalato uno stoccafisso originale. Dovevamo tagliarlo a pezzi col seghetto e metterlo a mollo per tre giorni. Abbiamo perso tempo con le alici fritte e le patate, poi frutta, il maduro e un concentrato di danza alla mandorla.

Lunedì sera torno dalla signora quieta e professionale, dal viso e dal seno pallido, vestita di nero e di capelli. Sembra la stessa che vedo sul monitor nel suo salotto di Ispica, Ragusa. Ci assomiglia molto per il suo modo di guardare sempre in basso e per la bocca tira-baci ma non è lei, anzi parla con un accento sardignolo. Quando alza gli occhi dell'ipnosi ti paralizza e puoi solo dire: "Non mi serve la fattura, basta lo scontrino". Il Signore ci manda dei messaggeri alati e sta a noi riconoscerli.

Dopo i vetri e sul bancone saltano fuori i sacchetti, me li ha trovati. Costano 22 euro a confezione, se ne prendo due confezioni regala dieci sacchetti per un totale di 40 sacchetti. Praticamente 44 euro più 10 euro e 50 per la spedizione fa 55 euro e 50 cent. Siamo sicuri sul modello, il codice è giusto. Nel caso si può cambiare? Io ho appena comprato un'aspirapolvere che si svuota da solo, senza sacchetti, dice il messaggero da Ispica. Potreste per favore parlarne con la mia sorella o portare la notizia fino ai piedi della Stellina.

martedì 2 novembre 2010

Tutti i Santi

Tutti i Santi, il primo di Novembre, non è il mio onomastico ma di chi si chiama Santo. A me hanno dato un altro nome, cioè Turi, che sulle carte risulta come Salvatore. Ora la festa del Salvatore è una festa speciale che dura una settimana. Ogni santo ha il suo giorno, ma il Salvatore non è un Santo. Perciò la festa per il suo nome è la festa del Corpo del Signore, il Corpus Domini. Comincia di giovedì e finisce il giovedì l'altro. E' un giorno di festa che cade sempre di domenica e la sua data cambia, come cambia la prima luna di primavera per la Pasqua e per tutte le altre feste a seguire.

Per le strade si spargono i petali di gelsomino, di rose rosa e di altri fiori profumati. Poi sulle lenzuola bianche i paramenti sacri quando arriva un piccolo corteo in processione. Si cantano le lodi al Signore, le donne indossano il velo e le candele danno luce ai volti dei bambini. Più tardi in un altro giorno del mese di giugno un fuoco si alza all'incrocio delle strade. I ragazzi corrono a spegnere i fuochi degli altri quartieri perchè lo Spirito Santo è sceso su di noi.

venerdì 29 ottobre 2010

Long & windin' road

Siamo andati fino a Rozzano dopo un gigantesco commerciale a risentire lo stesso concerto di sempre io e Andrea. Lui chiama Gigi Cifarelli, è milanista, imita Totò di Malafemmina e corre in bicicletta.
Stasera Gigi non voleva suonare Jimy Hendrix, ha detto che i vicini non avrebbero gradito. Meglio le ballate tipo Sophisticated Lady di Duke Ellington o cose del genere. Il chitarrista è un uomo nudo che suona su un palco, deve fare le battute e stasera non vuole suonare la Stratocaster che lui chiama Castrocarter.
Ma stavolta ho chiesto un bis al chitarrista jazz, questa è la novità, e me lo ha concesso. La canzone dice qualcosa a proposito di una strada lunga e ventosa. Forse la voce di Paul Mc Cartney si addice all'aria di abbandono e della sera. Come questa sera si addice alla voce e ai vocalizzi del chitarrista jazz appena sposato che canta alla Cascina Grande davanti ai suoi amici.
Don't leave me waiting here,
lead me to your door
E' stato l'ultimo singolo dei Beatles prima dello scioglimento. Scrivendo The Long and Winding Road Paul pensava alla "B842, a thirty-one mile (50 km) winding road in Scotland".  La radio suonava i toni medi del piano e della chitarra già nel 1971. Non ci avevano ancora insegnato le parole ma il senso della melodia era chiaro e camminavo uscendo di casa verso il vento di tramontana. Stasera non ho sentito il vento di tramontana, solo degli occhi scuri andare via da quella porta. Dietro i piattini di plastica per le tartine e i cetrioli all'aceto.

mercoledì 27 ottobre 2010

Ricetta al tartufo

Apro il frigo e guardo dentro il frigo. Poi sturo il lavabo dei resti del the verde argentino che ha portato la zia Gaby di marca Monterosa. Dentro il frigo c'è la burrata, un vasetto di tartufo dello scorso Natale, il resto del melone giallo con al centro pochi semi e il formaggio stagionato. 

A questo punto è tutto più facile. In un piatto cavo convesso anche bianco o spunticato taglio a pezzetti il pane. L'idea è che il piatto va mangiato con il cucchiaio per due motivi. I denti possono essere affaticati dal birthday party del sabato e comunque è sempre piu comodo usare una mano anzichè due. Mangio e guardo e sfoglio oppure mangio, sfoglio e navigo nell'etere. 

Alla base del pane a pezzi si aggiunge a pezzi anche la burrata che è una mozzarella con al centro una crema. Poi a cascata la crema di tartufo, che è marrone ma non bisogna pensarci, olio extravergine di oliva, del peperoncino sparso, del basilico fresco e il melone giallo a pezzetti. Riminare e mangiare senza guardare. Ah dimenticavo la cipolla rossa di default.


venerdì 22 ottobre 2010

Surgelati al sole

A Milano nella mattina la luce radente del sole casca nello stesso senso della strada a S. Ambrogio. Gli occhi, perciò, non vedono niente al di fuori del marciapiede di pietra delle Prealpi. Si cammina verso il sole e non si vede nulla se il sole è limpido. Ma oggi non lo era. Il sole di oggi è bianco come la luna piena di ieri sera. La differenza è che il bianco del sole di oggi è mischiato con il bianco del cielo. Mentre la luna di stanotte era una specie di palla di perla nel blu.

Quello che si vede sono i surgelati esposti in vetrine pulite a cura dei francesi della Picard. La monoporzione di spaghetti alla mozzarella si scalda al microonde in 4 minuti dice la confezione. Il negozio non è un negozio. E' un supermarket dove la mattina tutti i frigo sono pieni di scatole. Le commesse sembrano infermiere vestite di bianco. Le pareti sono vuote e beige. Tutto è beige e francese. Tutto è freddo, più freddo di fuori. Ma tutte le scatole sono rosse e la commessa è bene in carne. Come se ti volessero dire che anche lei si nutre delle scatole rosse. Insalata  di mare esotica la porti via per 4,40 euro a solo 9,76 euro al chilo. Inoltre l'unico conservante, dice il depliant, è il ghiaccio. Perciò fatti questo conto! La commessa in realtà è un'odalisca che la sera fa la danza del ventre.

martedì 5 ottobre 2010

Tornavento di Malpensa

Ho inciampato su un lato dell'autostrada verso il cielo, la pista di decollo con i suoi hub e gli assistenti di volo con la guaina del salvagente. Eravamo verso la Malpensa aeroporto nella frazione di una frazione di un comune dal nome comune della zona fatta di Olona e di Olgiate. Erano le 11 di mattina e nel tavolo a fianco servivano colazioni a base di formaggio, salami di colore rosso acceso e vino rosso.

Prima ci siamo persi tra le rotonde anti traffico ma poi l'ho convinta a fermarsi e fare due passi verso una piazza davanti alle cattedrali bianche del Nord. Con la sua bocca da cowboy ha detto: "Ti porto in un posto dove non sono mai stata". Sull'altipiano di Tornavento eravamo, dove si apre il teatro dell'ultima pianura della grande Padania. Che è un grande stato ultra piatto circondato dalle Alpi e Appennini oltre i quali bivaccano gli altri italiani, mantenuti dalle tasse prelevate ai lavoratori della Terronia e della Arabia giunti fin qui.

Lei resta con il cappello in testa e il suo naso da cherokee mentre beve il cappuccino e racconta qualcosa. Come dei suoi affari andati a male giù a Djerba, Tunisia e di suo padre rinchiuso nella villa. Gli ha fatto credere di essere pazza per farsi dare un pò di soldi perchè non lavora più e ora ha anche perso la sua amica del cuore. Una tipa che si è fatta improvvisamente grassa, ha abbandonato i figli e fa l'amore con chiunque capita a tiro.

Le foreste e le montagne di Tornavento sono una quinta di teatro. Come i paesaggi del Tintoretto o come le cose dipinte al teatro alla Scala di Milano per un'opera di Vincenzo Bellini. Ma ormai sono le 12 e 30 devo tornare verso il check in dove mi stanno aspettando. E lei mi riporta indietro fumando le sue sigarette sotto il naso e la bocca stretta. Le resta da passare un sabato ancora intero e più tardi nella noia del pomeriggio mi manda un messaggio: "Tesoro sei arrivato?" "Sono arrivato grazie. Qui l'aria è secca e il vento va verso il mare stavolta."

venerdì 24 settembre 2010

Donna gatta & co.

La donna gatta si distingue dalla donna serpente per via degli occhi chiari e a palla.  Invece la donna falchetto ha lo sguardo a punta e le pupille assomigliano ai pallini da caccia. Se vedi una donna sotto ipnosi è la donna gatta. Se ti senti paralizzato allora hai a che fare con la donna serpente. Se qualcuno si struscia sulle scarpe è la donna camoscio.
Poi c'è la donna capra, rumina quando mangia e la bocca va in senso orizzontale per triturare bene le zucchine. Resta con il muso chiuso e tiene lo sguardo basso sul tavolo,  a differenza della donna cerbiatto che invece spalanca gli occhi neri e lascia folgorati i passanti.
Tutti sanno della donna gallinella che muove il collo a scatti senza roteare gli occhi tondi piccoli e invisibili. E' magrissima come una stele ma morbida con le piume improvvisamente lunghe e lisce da accarezzare.
Resta la donna bufalo, una fuori serie alta e gobba, mostruosa ma anche orribile. E, infine, la donna sfinge dalle labbra immobili. E' lenta e silenziosa, spesso bionda tipo ragazza del Piper vaporosa e sparpagliata.


mercoledì 22 settembre 2010

Basso e tarchiato

Sono alto (basso) solo 1.70 cm., forse anche meno. Quindi sono piccolo come si dice.
Ieri sera uno che ruttava sul campo ha detto al suo compagno di squadra: "Stai attento al piccoletto!" Io gli ho girato intorno e ho fatto goal lo stesso, anzi due perchè ne potevo fare almeno quattro.
In compenso ho un fisico quasi atletico. Facevo gli addominali la sera prima di andare a letto. La stanza era così fredda che anche le coperte sembravano di ghiaccio. Il pavimento era umido con le sue scagliette di marmo ma io saltavo per dieci minuti e poi mi infilavo sotto le lenzuola. Dopo dieci minuti erano un paradiso.
Vado in piscina ogni tanto ma è così noiosa che potei annegare per lo sfinimento del pensare a tutti i pensieri in ammollo. In questi mesi ho messo una piccola pancetta e di conseguenza sono arrivato alla soglia di 72 chili. Normalmente sono sui 68 o 69 kg. Quindi, riepilogando, sono basso e tarchiato. La faccia è quella di un bambino o di uno troppo vecchio a seconda di come ho dormito e con chi (nel sonno).

martedì 21 settembre 2010

Disappear in the water

Some senses changes, emotions goes dimmer.
The same feel and the same smile, over the time, turn into something else.
As a awl that enters the skin but the skin receives without bleeding.
Pain and pleasure to see you go or hold you back,
a kiss or a pat on the doorstep. I miss you, darling, like the moss on a rolling stone.
I miss you when you say goodbye, or say thanks for taking me with you.
We will meet again another time, wait for me next time.
How often reaps the grain in a year?
How can sow all these ears, and who eats?
Tell me everything now, it is done your time.
Here comes the time to wait and reborn rather than leave and disappear.

martedì 7 settembre 2010

Uscirò fuori

Andrò cercare i frutti tropicali del mercato
peruviano dove le modelle ridono e parlano basso.
Busserò alla porta della fata e accosterò
le sue tende rosse quando lei ripete prendimi sempre.
Salirò sulla collina della foresta ad abbracciare
la donna delle sorgenti nella caverna di basalto.
Sentirò il conforto di un viso che si stringe
verso la mia mano quando si piega verso un lato solo.
Andrò nella mia stanza ad aspettarla fino a quando
la campana suona e lei dirà qualcosa muovendo la sua mano.

mercoledì 18 agosto 2010

Albanese spazza il semaforo

All'incrocio con la via di Porta Vigentina e la cerchia dei Bastioni, la città di Milano vanta un presidio importante. E' una donna vestita da uomo che chiede mezzo euro a tutte le auto senza promettere lavaggi di vetri. Di solito piazza sulla siepe le sue borse e poi passeggia lungo i diversi finestrini come una guardia rossa del Cremlino davanti alla tomba di Lenin.

Ma oggi l'albanese del semaforo ha fatto un regalo a tutti i milanesi. Armata di scopa da spazzino, non minaccia i creditori automobilisti. Semplicemente toglie di mezzo i mozziconi di sigaretta, perchè con le ferie l'Amsa va in vacanza e il suo territorio è come un ufficio in disordine già alle undici di mattina.

L'albanese è piccola e magra. Avrà i suoi 50 anni con un solco lungo il viso come una specie di fossato. Chi si ferma al semaforo ha già le scatole girate e in più deve sorbirsi la minaccia universale del senso di colpa per non aver sfamato i suoi poveri familiari. Così la maggior parte si prende i suoi insulti in albanese o riesce a evitare lo sguardo insolente.

L'incasso medio giornaliero stimato è di circa 200 euro al giorno che è ancora poco considerando i giorni di pioggia e le festività. Chi la guarda dal finestrino e non dà nulla riceve l'invito, anzi la minaccia, a versare la moneta per l'indomani. Lei guarda dentro la macchina e certe volte si accontenta anche di una caramella o di una mentina. E poi dice Vaffanculo in albanese.

Una volta stavo mangiando una pesca e gli ho detto se voleva dare un morso. Un'altra volta gli ho dato un cd di un gruppo irlandese. Ma ormai, dopo circa dieci anni di attività, conosce tutte le possibili reazioni e in pochi secondi ti manda a quel paese se capisce che sei il solito tirchio che promette e poi non da mai un tubo di niente. Di certo tutte le mattine lei controlla gli ingressi alla città e chiede conto di quello che fai. Forse è un esattore dell'erario o forse è un angelo ai cancelli dell'Eden.

venerdì 13 agosto 2010

Setti fimmini

Sono tutte uguali le donne della mia vita. Si lamentano sempre di qualcosa e io le ascolto. Le rassicuro quando piangono o se parlano delle mie assenze o degli imbrogli. Di solito hanno gli occhi neri e grandi, però, per rovinare tutto, portano la frangetta sugli occhi o qualcosa di simile. Le odio per questo e perciò ho fondato dentro di me l'MLF, il Movimento per la Liberazione della Fronte.
Le amo per compassione e le adoro per passione. Il lamento del dolore si trasforma in lamento di piacere e questo è il miracolo. La pelle è bianca e liscia, la bocca è morbida e crudele. Confido sempre nel gioco della scoperta del mistero insondabile che si cela dietro alla decisione: "Porto la mia borsetta con il trucco entro la borsa più grande oppure la metto a parte nella valigia quando parto?"
Sogno sempre che mi prendano così come io le prendo. Vorrei che mi seguissero sempre nelle mie manie. Ma non lo fanno quasi mai quelle che amo. Invece lo farebbero sempre quelle che mi lasciano indifferente.
Alla fine mi adorano talmente che sopportano ogni tortura. Fino quando passa il primo che passa e allora mi fanno: "Mi dispiace ma ora sono impegnata. Non ti dimenticherò mai. Buona fortuna". In fondo i rapporti a due soffrono dello stesso male della cabine del telefono. Uno dei due è rotto oppure l'altro è occupato.

mercoledì 28 luglio 2010

Sing a song for me

Come suono? Non so suonare. Prendo la chitarra acustica e suono. Non ci capisco niente di bemolle e di scale. Non so leggere la musica. Però le canzoni nella stanza e nelle strade le ho sempre sentite.

In questo periodo suono Hollis Brown. Parla di un povero negro del Sud Dakota. Ma ha una melodia antica e diabolica che funziona sempre. Sono due accordi. Mi minore e Do. Quindi più che altro devo essere intonato, ricordarmi le parole e dare il tempo giusto. Oppure mi esercito con l'arpeggio per Dont think twice, it's all right che ha una progressione fantastica. Mi piace anche il giro di Non è Francesca e I wish You were Here.

Adesso che ho imparato a suonare qualcosa non ho piu tanto tempo per suonare. Mentre quando avevo il tempo di suonare perdevo tempo ad accordare la chitarra e mi restavano dieci minuti per provare. Il regalo che cambia la vita me lo ha fatto Andrea, un accordatore che da le indicazioni giuste quanto tiri la corda da una parte o dall'altra. Risparmio mezzora ogni volta che prendo in mano lo strumento. Poi l'altra variabile è la tonalità, più alta o più bassa a seconda di dove arriva la voce. Ma per quello c'è una specie di capotasto che cambia la nota di partenza.

Una volta ho visto un cantastorie siciliano in una piazza semi vuota. Era uno degli ultimi telegiornali ambulanti. Aveva alle spalle tanti quadri della storia di Salvatore Giuliano. Cantava senza suonare perchè sotto c'era un nastro che andava, ma con la bacchetta lunga due metri mostrava il disegno fatto con lo stile dei pupi siciliani di Orlando e Rinaldo. E dal tono della voce si capiva quanto fosse drammatica o decisiva quella scena. Andava in trance su certe scene a alla fine vendeva le cassette registrate.

Attorno a un tavolo con un bicchiere di vino cantavamo in una stanza di tre metri per tre. Poi la chitarra passava di mano in mano, qualcuno faceva il coro, un altro batteva le posate come batteria. C'era un sardo che cantava a squarciagola Bocca di rosa. Invece Osvaldo mi ha insegnato le canzoni delle Union inglesi e anche come suonare l'armonica. E' stato lui a farmi il disegno degli accordi su un pezzo di carta a quadretti. Le stesse canzoni le cantavamo in moto facendo i Fori imperiali o piazza Venezia. Love the one you with o Hello cowgirl in the sand di Neil Young.

venerdì 23 luglio 2010

Food designer

St. Moritz. Ci troviamo a tavola in quattro o cinque. Lui beve sempre vino rosè di marca e mangia solo tonno rosso. Lei si presenta in ritardo magra e dal collo allungato. Poi ci sono altri commensali di contorno tipo uno che fa le battute a gettone e si sbrodola la camicia. 
Ora se hai bisogno di una cena particolare? Di quelle con tanti manager allupati da tenere in un luogo sconosciuto. Oppure di signore per bene a caccia di professionisti. Allora chiama la tua food designer. Una che va deep sull'insalata di crostacei. Porta sul seno le coppette di pelliccia fru fru nere nere. Ma è così calibrata sulle tue esigenze che ti spara domande a raffica del tipo: E tu cosa hai preso oggi a pranzo sulla terrazza del Paradiso? Io non mi ricordo veramente. Posso assaggiarti questa creme brulé? Ha un'aria che sa di buono.
La food designer intervista gli chef per una radio tutte le mattine di un giorno della settimana e va in replica delle 16,45 alle. Ma adesso non ha importanza. La dobbiamo aspettare domattina per la gita al lago con la bike? No preferisce di no. Resta tappata in albergo a provare tutte le saune, il massaggio plantare e la colazione Alpine.

giovedì 22 luglio 2010

Zazzamita blues

In un pomeriggio di giugno, dietro al sole al tramonto, sono tornato a Franchetto. Dopo la barra, verso l’eucalipto, i passeri sono scappati via. Lasciando nei nidi, al rumore dei miei passi, le piccole ali a frullare. Anche un predatore, un’aquila o uno sparviero con due metri di ali, è volato verso il piccolo canneto e le rane. Di traverso sulla panchina di ghisa i braccioli lasciano i segni sulla schiena se, anche adesso, mi sdraio come per dormire.

Alle spalle c'è il muro della casa, grigio per la calce e il cemento. Sul muro il geco e la geca aspettano i loro moschini invisibili. Uno dei gechi, che qui è femmina e si chiama zazzamita, si attacca alla schiena da sotto la camicia e non va via. Finchè, camminando verso il rumore della caffettiera, non lo prendo tra le dita e lo riporto fuori. Nella testa ho un sonno che potrei dormire per giorni interi. Il sole ha asciugato la terra e il vento arriva ora a rinfrescare la memoria. Ho chiuso gli occhi e ho dormito per alcuni secondi pesanti ma passati nella testa come nuvole leggere.

lunedì 5 luglio 2010

Intervista al guru

Ginevra. I moltiplicatori di soldi a palate si vestono di abiti e cravatte. Come li vedi da lontano pensi subito, ecco la parvenza della bisca organizzata. La ragazza che porta il caffè assomiglia alla principessa Sissy di Austria assassinata proprio qui di fronte sulla passeggiata principale di Ginevra. Potrebbe fermarsi a parlare se solo si potesse rompere la procedura rigida del benvenuto: gradiscono un caffè? Si, grazie. E dell'acqua gasata per favore. Che più ne bevi e più hai sete tanto è dura e opaca questa di Evian.

Il mondo degli affari? La risposta del banchiere è sempre la stessa. Siamo moderatamente ottimisti. Oggi ci piace il titolo di questa ferrovia canadese. Percorre l'America in lungo e in largo e non fa fermate intermedie. I governi faranno i tagli? Speriamo che l'Euro affondi al più presto e non se ne parla più. I vostri soldi dateceli tutti, li teniamo qui insieme ai lingotti d'oro che pesano molto. A portarli c'è sempre qualcuno di braccia forti e poca testa. Siamo qui per difendere i tuoi risparmi al riparo di queste montagne, in un lago dorato come il sole, dove non nevica mai. Oggi prendiamo la banconota tailandese e poi la rivendiamo come abbiamo fatto con le lire turche. L'idea è semplice basta applicarla con disciplina.

In città i negozi di orologi circondano banche e saloni di bellezza come fossero aperti solo per gli sceicchi e le loro mogli in vacanza con i bimbi che scorazzano uno in fila all'altro in ordine di altezza. C'è uno sbuffo di acqua verso il cielo che fa oplà in mezzo al lago mentre sui ponti passano ordinati i taxi e le ragazze bionde e magre come Edie Sedwick. La ragazza del clan di Andy Wharol fotografata in bianco e nero nella sala delle riunioni, la stessa che Una volta vestiva così bene e che adesso sta per rispondere alla domanda Come ci si sente ad essere senza una casa e vivere per conto proprio, like a rolling stone.

Ma adesso il banchiere padrone professore di finanza più raffinato deve andare dal medico. Lo aspettano, purtroppo, per togliere queste bende di cellophan dai gomiti sotto la camicia inamidata. Chissà quale fungo o quale cosa strano enzima lo costringe alla pausa. Profuma come una rosa della casbah, agita le dita lunghe e bianche e porge le mani come per dire: adesso mi faccio un bel giro in città sulla mia limousine in buona compagnia.


venerdì 2 luglio 2010

Soli nell'universo

Correvo in bici verso l'appuntamento con un paio delle mie mutande in tasca, cacciato da casa per ruberie e menzogne. Arrivato al chiosco ordino due caffè a portar via e una brioche con la crema, per me e per lei, segata in mezzo per evitare di lasciarne un pezzo senza crema. Ma l'incontro con la specialista in affari di cuore non era fissato per quel giorno e il campanello squilla senza risultato.

Allora sto per uscire ma, fatto il secondo gradino, si apre la porta nel buio e salta fuori una tipa alta ma con ampia scollatura. Che dice: "Oggi non c'è nessuno." Allora, con i bicchieri di plastica tappati dalla plastica in mano, dico: "Ti posso offrire un caffè visto che l'ho portato? Almeno lo beviamo insieme se ti va." E lei dice: "Grazie, la brioche però no. Ho già fatto colazione." Così parliamo del più e del meno seduti al tavolo delle riunioni. Lei parla di pubblicità, io parlo di newsletter. Alla fine raccolgo le briciole sparse della brioche con una salvietta. Come si fa con la polvere di argento in un laboratorio di orefici di Brooklyn. La mezza brioche tagliata nel senso della longitudine come fosse una zucca da fare ripiena, la butto via e mi dispiace un pò.
Lei si muove sulla scrivania e la scollatura si fa ancora più ampia fino quasi a farsi abbracciare. Ci sarebbe lo spazio per una stretta di mano o una confidenza ma gli affari sono affari. Sono le dieci di mattina e, a Milano, è ora di lavorare per non sapere cos'altro fare.

La bicicletta era ancora al palo e salto sopra il sellino per andare in una stanza e riconquistare la libertà. Con i pantaloni senza mutande è difficile pedalare a lungo, senza fermarsi e chiedere aiuto. Ma arriva un messaggio sul telefono proveniente da una consulente di immagine. - "Secondo te, siamo soli nell'universo?" - "Per la legge dei grandi numeri non siamo soli. E non lo siamo anche a causa del caso, la voglia di vivere e la forza di gravità. Ma di fatto siamo soli finchè qualcuno non bussa alla porta."

lunedì 21 giugno 2010

Sparito nell'acqua

Le emozioni si allontanano. Lo stesso tatto e lo stesso sorriso, con il tempo, diventano un'altra cosa. Come un punteruolo che entra nella pelle ma che la pelle accoglie senza sanguinare. Dolore e piacere di rivederti andar via o di abbracciarti di nuovo, un bacio o una carezza sulla porta di casa. Mi manchi, tesoro, come il muschio alla pietra che rotola via. Mi manchi quando dici buon viaggio, o dici grazie di avermi tenuto con te. Ci rivedremo un'altra volta, aspettami per la prossima volta. Quante volte si miete il grano in un anno? Come si fa seminare tutte queste spighe, e chi se le mangia? Raccontami tutto adesso, si è fatta la tua ora. E' venuto il tempo di aspettare e rinascere anzichè partire e scomparire.

mercoledì 21 aprile 2010

Altri mari a Fondachello

Sicilia dell'Est. In inverno la carbonella di scorza di mandorla e le foglie di arancio per i conigli nelle nasse si mischiavano alla salsa di aglio e pomodoro. Ad aprile, invece, nel vicolo esposto ai venti il profumo delle prime zagare si perdeva dalle narici in una zona impalbabile della testa. Ma come veniva l'estate, nel pomeriggio, la signorina della radio ripeteva a litania le quotazioni delle Rinascente privilegiate e poi la voce dell'uomo annunciava le temperature massime di Cagliari Elmas e Santa Maria di Leuca.

E finalmente un mattino presto si apriva il mare, dopo un'ora di vigneti a terrazze, davanti al corteo dei pellegrini venuti dalle colline. La 600 blu a 3 porte di zio Santo, con la direzione inversa dello sportello in favore di gamba, poi la nostra 850 sabbiata come una jeep militare nel deserto e la 128 pistacchio di zio Mario. Dai finestrini in corsa entrava nel naso l'ossigeno del mare e la salsedine, i pini marittimi o il colore turchese dell'alba.

E andavamo incontro alla calura della spiaggia davanti alla pineta portando la croce della calura della pasta al forno sotto le coperte di lana, le borracce nuove e le borse del ghiaccio nuove nuove, con il costume sotto i pantaloni per provare a nuotare in questo mare con la corrente. Con l'acqua sempre fredda di Fiumefreddo e le onde sempre alte che le previsioni del tempo dicevano sempre, poco mossi gli altri mari, ma quali sono gli altri mari dopo Fondachello.

Sotto alberi bianchi davanti al mare al tavolo o in piedi in una nuvola di sigarette accese giocavano a carte. E dopo una mano uno dice: "Pezzo di scecco!" E l'altro: "Fatti abboattare (in una scatola di pelati)." Coperti o non coperti dall'ombrellone piantato nel pietrisco grigio e bianco torniamo nelle macchine spettinati, come peperoni rossi al forno. E per giorni le braccia mandano in giro luce fosforescente, zaffate di sale e di alghe marine e di ossigeno, ma le ustioni sulle spalle non finiscono mai, la fronte si fa a strisce. Un'altra mattina nel sonno, tutto a un tuttùno, d'improvviso all'alba arriva un altro annuncio "il costume, forza, andiamo che è tardi" e alla radio a transistor uno canta, come fosse Elvis, "domenica d'agosto, la spiaggia è un girarrosto".

martedì 30 marzo 2010

Grazia

Le persone sono graziose o no.
In quel caso sono disgraziate.
A volte l'aspetto fisico può essere gradevole
ma il portamento invece no.
Una persona graziosa può vestire di stracci.
Uno straccione può essere un poeta.
La grazia è un dono della natura.
Io vorrei averne tanta di più.
C'è chi ha tanta grazia e si vede dal cuore che ha.
C'è chi ha ricevuto in dono la grazia di un sorriso,
come te per esempio o la Ciangottini ne La dolce vita.
C'è chi inciampa sulla sua ultima meta.
Grazie per avermi mandato in orbita su questo rap della sera della luna piena.

giovedì 28 gennaio 2010

Dentro la betoniera

Strada di ponente. Non mi piaceva giocare da solo perchè ero da solo in casa. Così il mio teatro era la strada davanti. Passava Giannitto in bici ed era così magro che si vedevano le ossa. La sua bici era come la mia, i suoi occhi avevano sempre un contorno rosso e qualche pezzetto di muco giallo.
Si andava per i prati nei sentieri in mezzo all'erba. Ma nei quartieri vicini c'era un'altra banda di ragazzini e dovevamo stare attenti. Ci sbarravano la strada in tre o quattro e cominciavano a prendere le ruote a pedate finchè non si faceva la lotta o si scappava. Il capo si chiamava Santo ma era il più cattivo di tutti. Pasqualino invece era grasso e non mi faceva paura.

Giannitto mi veniva a cercare sempre, la sua strada era meglio della mia per sparare con le pistole a caps. Una volta d'estate si giocava a nascondino e siamo finiti dentro una betoniera. Vincevo sempre a qualsiasi gioco si giocasse. Il cugino di Gianni si chiamava Turi e portava sempre il fazzoletto bianco piegato in tasca, anche quando si giocava a pallone nel campo grande di terra battuta.
Le partite a pallone cominciavano nel pomeriggio alle tre e finivano dopo il tramonto. Il signor Chisari, impiegato all'anagrafe, non passava più con la sua 600 smeraldina da raffinato, perchè diceva che il nugolo di ragazzi dietro al pallone era come la linea Maginot, il confine tra il quartiere S.Antonio e tutto il resto. Tiravo dei palloni ad effetto per centrare l'angolo all'incrocio dei pali. Qualche volta i vetri della signora Angelina sono andati in frantumi. Così mia madre nascondeva il pallone con la complicità delle sorelle Anna e Pippa che tessevano coperte di Cantù. Prima o poi il pallone lo ritrovavo sempre o in soffitta, il tetto morto, o in giro dentro un qualche cestone di vimini.

martedì 19 gennaio 2010

Madeleine alla mandorla

Piazza Dante. Nino Signorello è il fondatore della sua pasticceria. "Ce l'hai i biscotti coi fichisecchi?" gli ho detto. "No, dopo la Befana non li faccio più. Non c'è nuddu ca mi ddumanna."

Nino era con me alle elementari, ripetente e un poco storto. Non studiava ma in compenso usava il banco di scuola per suonare la batteria con le sue lunghe bacchette nell'ora di ginnastica o per la ricreazione. Lui ha aperto il suo locale nel '73 vicino alla palma della chiesa del Purgatorio. Io invece ho aperto un circolo culturale a fianco, l'Arcus Club, con manifesti di Lou Reed alle pareti e un presidente falegname che la sera parlava di spazi nuovi dove andare a "spaziare".

Adesso non si chiama più Buco bar ma porta il nome di Nino sulla carta velina con dei raggi di luce psichedelici oltre quel buco. Invece il mio circolo culturale ha chiuso quando sono andato a Roma e, al suo posto, prima una gioielleria e poi un'agenzia per il disbrigo pratiche auto.

Nino suonava in un gruppo beat e l'ho sentito una sera prima dello spettacolo di un circo di clown con la tenda e le corde come liane verso la gente. I clown battevano il martello sulla testa e cadevano per terra come molle. Giannitto Piana rideva con me. Forse il gruppo spinto dalla batteria progressiva di Nino fece A Whiter shade of Pale dei Procol Harum, quella copiata da Bach. Il gruppo si chiamava Enigma e ancora suona senza di lui. Anch'io porto sempre lo stesso nome e ancora giro, ma senza il mio amico Gianni.