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Dentro la betoniera

Strada di ponente. Non mi piaceva giocare da solo perchè ero da solo in casa. Così il mio teatro era la strada davanti. Passava Giannitto in bici ed era così magro che si vedevano le ossa. La sua bici era come la mia, i suoi occhi avevano sempre un contorno rosso e qualche pezzetto di muco giallo.
Si andava per i prati nei sentieri in mezzo all'erba. Ma nei quartieri vicini c'era un'altra banda di ragazzini e dovevamo stare attenti. Ci sbarravano la strada in tre o quattro e cominciavano a prendere le ruote a pedate finchè non si faceva la lotta o si scappava. Il capo si chiamava Santo ma era il più cattivo di tutti. Pasqualino invece era grasso e non mi faceva paura.

Giannitto mi veniva a cercare sempre, la sua strada era meglio della mia per sparare con le pistole a caps. Una volta d'estate si giocava a nascondino e siamo finiti dentro una betoniera. Vincevo sempre a qualsiasi gioco si giocasse. Il cugino di Gianni si chiamava Turi e portava sempre il fazzoletto bianco piegato in tasca, anche quando si giocava a pallone nel campo grande di terra battuta.
Le partite a pallone cominciavano nel pomeriggio alle tre e finivano dopo il tramonto. Il signor Chisari, impiegato all'anagrafe, non passava più con la sua 600 smeraldina da raffinato, perchè diceva che il nugolo di ragazzi dietro al pallone era come la linea Maginot, il confine tra il quartiere S.Antonio e tutto il resto. Tiravo dei palloni ad effetto per centrare l'angolo all'incrocio dei pali. Qualche volta i vetri della signora Angelina sono andati in frantumi. Così mia madre nascondeva il pallone con la complicità delle sorelle Anna e Pippa che tessevano coperte di Cantù. Prima o poi il pallone lo ritrovavo sempre o in soffitta, il tetto morto, o in giro dentro un qualche cestone di vimini.

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