venerdì 13 novembre 2009

Viene infine

Roma, porta S. Lorenzo. Forse per il tuo compleanno o per Natale ti ho regalato questo libro dell'Adelphi con la copertina vinaccia e un ritratto di un uomo, forse di Schiele, un austriaco anche lui come Joseph Roth. Mi avevi chiesto perché questo libro? Perchè mi piace la copertina. E tu hai detto, ah vedi come sei! Il libro parla dei rivoluzionari e allude a Trosky e a Stalin senza nominarli. Parla di questo Friederich Kargan che frequenta un certo Savelli dopo aver lavorato al confine nella tratta dei profughi per la compagnia di navigazione.

Adesso sono passati quasi 30 anni. E sono nell'imminenza del bilancio della mia vita che include la domanda, ma quanti libri ho letto di questa libreria? Non se mai lo finirò ma ho cominciato a leggere Il profeta muto. Sono solo arrivato a pagina 40, quindi prometto bene. L'ho aperto e le pagine sono bianche non avendo preso luce mai. Certe cose vengono infine, come dice mia madre. Lo avevo comprato per il rimorso nel '89, dieci anni dopo, prima di lasciare la tua città. Sapevo che prima o poi ci sarei caduto. Ma non te lo avevo regalato solo perchè aveva una bella copertina. Tanto è vero che ho letto dello stesso abreo errante Fuga senza fine e forse La milleduesima notte per non dire delle Confessioni di un assassino.

Fa un certo effetto sfogliare quelle pagine. Non per la sua storia di confine, bensì per i colori e gli odori di Roma d'inverno negli appartamenti dell'Eur o di Corso Francia o di Via dell'isola, di tutte le foglie ingiallite, frozen leaves, sui marciapiedi illuminati a stento nella notte.

Ho la sensazione di averti sottobraccio, di sentire i tuoi riccioli neri duri come acciaio. Ho addosso lo stesso calore della paura mentre guardiamo la faccia nascosta dei carabinieri. Di quella camionetta spalancata contro di noi. Dei mitra puntati verso le mura del Castro Pretorio e verso la vespa 50 blu. Di come parlavi dei nostri sacchi a pelo per le vacanze al mare e della rivoluzione.

giovedì 12 novembre 2009

Porta un messaggio a Mary

Milano, porta Ticinese. Maria è il nome più diffuso nel mondo, anche se ora nessuno più chiama Maria sua figlia manco fosse un`offesa. E` il nome del mondo femminile per eccellenza, richiama simboli e alchimie. Anche il mio nome lo è. Da qui la complessità della declinazione a seconda delle epoche. Diventa un personaggio o un altro, come chi corre verso un'altra identità e vive in un altro paese sotto un altro nome.

Ho conosciuto una Maria che si faceva chiamare Mary. Andavamo al liceo su un autobus coi vetri appannati. Il bigliettaio trapassava i corpi degli studenti gridando, signorina favorisce biglietto? Poi ho conosciuto un`altra Maria e l`ho chiamata Meri con la e. E' successo quella volta che, dopo tanti anni, ho cercato la prima Maria e invece ho trovato la seconda detta anche Concetta. Ultimamente si sono inventati anche Mery e questo non era prevedibile.

mercoledì 4 novembre 2009

Di mattina

Sei bianca come la neve e come i tuoi denti
sotto un cappello in una duna di sabbia. 
La tua faccia mi parla anche quando non ci sei. 
Mi dice delle cose, non so dirti di preciso cosa. 
La tua bocca socchiusa e i tuoi occhi chiusi dal nero
degli occhiali sta facendo dei discorsi come, Per favore baciami. 
Ti cercavo alle sei di mattina, è vero. 
Mi sono svegliato d'improvviso verso le cinque e senza sonno
sono arrivato fino alle sette quando il cielo si schiariva.
Nel mattino cerco di te, dell`idea che mi sono fatto di te quando sarai con me.

giovedì 22 ottobre 2009

Tangenziale Ovest

Aereo CTA-LIN. Ieri sera guardavo le luci della costa siciliana mentre l'aereo passava sopra le vostre automobili in coda sulle tangenziali. Mentre tutto intorno è buio pesto e spazio immenso di colline e altipiani.
Adesso le luci gialle nei paesi sono geometriche ma diventano una ragnatela quando un centro divora l'altro vicino. Un camper parcheggiato sotto il ponte dell'autostrada se n'è andato in mare, i fiori sfioriscono, camminano le montagne. Ma tutto è già accaduto altre volte a Messina e altrove.

Chissà perchè la gente si ammassa ancora tutta intorno alle città. Quando le cause dell'urbanesimo sono un ricordo. Le industrie non ci sono più a raccogliere ex contadini. Sono anche scomparse le strade polverose e i carretti che rendevano difficili i trasporti. Ma tant'è, i ricchi hanno le ville in campagna, i poveri l'appartamento in città.
Per favore andate via da queste case accatastate sulla spiaggia. Sembrate delle formiche in una topaia. Come se stare vicini tra i lampioni fa sentire meno freddo nella notte. Come se il calore delle mura del vicino di appartamento servisse a riscaldare la vostra solitudine.

Andate via da questi buchi. Con tutto lo spazio che c'è intorno cosa ci state a fare sull'orlo della frana a guardare il muro del palazzo di fronte. Prendetevi un pezzo di terra e ricostruite il tetto della sua casa.

mercoledì 7 ottobre 2009

Pensieri di Mao

Milano-Lecco SS 36. Ho capito che bisogna rassegnarsi, ma fino a un certo punto. Rassegnarsi vuol dire accettare l'idea che le proprie forze sono finite e non infinite. Non rassegnarsi vuol dire continuare a cercare quello che si vuole.

Quando la scrivania è troppo piena di tanti fogli di carta si ha la tentazione di buttare via tutto e si rischia di perdere quanto di buono è nascosto sotto le cose meno importanti. L'alternativa è rivedere ad uno ad uno i diversi fogli, ma ci vuole tanto tempo. E il tempo non c'è più. D'altra parte se non fai niente il caos aumenta, ti senti inadeguato. Quindi dedicati a un foglio alla volta. E dove arrivi, arrivi.

A volte il caso, parente stretto del caos, ti porta dove vuoi andare. A volte invece l'ansia di governare il caos non ti porta da nessuna parte. I paesani dicono: se la fortuna mi vuole vado a letto e dormo. Ho capito che non possiamo fare tutto. Che bisogna scegliere e selezionare. Che il tempo è prezioso e che perciò non bisogna perderlo. Ecco perchè ogni tanto guardare il fiume passare è meglio che corrergli dietro. Qualcuno ha truccato le carte e il gioco della vita lo perdiamo proprio quando pensiamo di avere già vinto.

Lettera dai criceti


Sostiene la lettrice. Posso permettermi di ribadire la mia idea degli abissi psicologici femminili (di matrice patriarcale). Diventiamo - appunto - paternalistiche e diciamo poveretto quando vogliamo darci un tono e non vogliamo darci per vinte o accettare l'idea di essere considerate alla pari con altre.

Vogliamo fare le grandiose magnanime perchè così ci sembra di sembrare più forti (eppure non sono sicura che questa sia prerogativa femminile: tutti giudichiamo per sentirci "al di sopra", "più bravi") ma spesso è solo una specie di mantra da autoconvincimento.

Quei pochi vagamente stabili che mi interessano sono veramente tutti uno diverso dall'altro, tutti a tutto tondo, ognuno con un peso e una forma diversa, non tutti interessanti alla stessa maniera di volta in volta, ma tutti di volta in volta giusti secondo le mie esigenze del momento, ma non faccio mai credere a un uomo di essere l'unico o l'inimitabile in senso assoluto, se non lo è e continuo a rimanere perplessa davanti al bisogno che hanno molti/e di nascondere a se stessi e/o agli altri il loro modo di essere

Dice: non ti voglio fare soffrire, quando è lui a non avere voglia di scegliere. e perchè non dire la verità? quelle, poverette, almeno si regolano. Vedono se gli sta bene. Si possono assumere la responsabilità delle loro scelte e dei loro eventuali errori. se poi uno, per essere corretto, se ne perde qualcuna, pazienza. ce ne sono tante. ma almeno poi si può guardare allo specchio senza farsi venire voglia di sputarcisi dentro in un occhio.

(uhm. no, parlo così perché sono io che non mi potrei guardare in faccia se non fossi corretta. evidentemente questa è una mia sovrastruttura che non è universalmente applicabile. devo prendere nota delle cose ancora da imparare.)


lunedì 5 ottobre 2009

Margherita cotta

Pizzeria Olimpia. La pizza margherita "ben cotta" arriva a destinazione. Lei non capisce se è buona o no. Apre il foglio con l'ultima mail di lui, quella in cui lui si congeda da lei.  Lei è l'ultima amante piantata via mail e lui ora, secondo lei, si meriterebbe una sua bella risposta. E io dico, lascia perdere cosa rispondi a fare.

Lui le dice che soffre nel vederla soffrire, che è comunque meglio chiudere qui. Lei, però, aveva visto le altre mail delle altre sue amanti. Perchè un'amante di lui era entrata nella sua posta riservata. Così adesso l'amante della prima ora l'ha spedita all'amante dell'ultim'ora. E tutte hanno concluso, poverino perchè fa questo.

lunedì 31 agosto 2009

Down the river

Adda, Lodi. Sono andato lungo il fiume. Come a New Orleans vicino a Milano. Sono andato lungo il fiume padano. Sulla riva di questo fiume grande disteso nel verde. Dove l'acqua scorre piatta. Nel punto in cui rotola bianca. Ti sei seduta con me. Mi hai preso il braccio per non cadere. Mi hai detto le tue parole arcane. Ma quale cane ho pensato. Ero sulla sponda a guardare il fiume passare.

venerdì 28 agosto 2009

Attiah l'ultimo cane

Poggio Campana. Attiah ha vegliato sul mio sonno, come faceva Bobbie, in questa campagna di spighe. Gli ho messo il collare rosso a quest'ultimo cane. Chiunque lo ritrovi sappia che è mio. Chiunque lo veda lo può chiamare Attiah e riportarmelo. Ha un collare rosso nuovo nuovo, sembrava buono e gentile ma poi, per dormire con me, ha rotto la persiana e adesso i padroni di casa non lo vogliono più.

L'ho chiamato Attiah per assonanza con Appuah un altro animale ancora senza nome, il gatto di Nolah. Che ho ribattezzato Kathe per via della somiglianza con la Turner. Anche alle persone si può dare un altro nome, non che i cani sia meno degni delle persone. Kathe si chiama veramente Laura, ne sono sicuro. A un certo punto poteva essere come la Turner con la camicetta bianca sbottonata di Brivido Caldo di Kasdan. 

E va ogni domenica a Lavagna a pranzare con lo skipper per lucidare una nave di legno chiamata Tai Pan dal compagno di vita, una specie di reggia. Una pagoda sulle acque, Capo supremo secondo i cinesi, dalle vele rosso tibetano. "A me piace il tuo nome. Sei d'accordo se ti chiamo Sal?" Il tuo profumo e la tua pelle bianca. E le tue mani e le mie mani. Dammi il tuo numero esatto. Ti chiamerò domani in ogni caso.

giovedì 30 luglio 2009

Coimbra di sera

Coimbra, Portugal. A Coimbra il fado si canta anche d'estate, con un mantello nero da pipistrello sulle spalle. Lo ascoltano di sera e lo accompagnano a bocca chiusa le signore ai tavoli del bar del centro. E sussurrano le parole d'amore o stringono gli occhi e le labbra. Il rito finisce come una messa, la gente non si guarda negli occhi nella penombra. Qualcuno ha un fazzoletto al naso per asciugare le lacrime.

Il fado è il canto del desio e della separazione. Le canzoni sono brevi e come il blues hanno una struttura semplice e inossidabile di tre strofette. Poche ma sentite parole accompagnate dalle due chitarre. Ma tutto sta nell'interpretazione, nel come esprimere con la voce e la sua onda nell'aria il senso di vuoto che lascia la perdita di qualcuno o di qualcosa.

Il fado è come un salmo o un gospel. E i portoghesi lo hanno cantato in giro fino a Napoli dove, per riconoscenza, nel '63 Aldo Giuffrè fa cantare Amalia Rodriguez in diretta tv. L'ambasciatrice de Una casa Portuguesa costretta anche a cantare di tutto un folk fino a Sciuri sciuri e Visti na krozza. 

Ognuno piange per i cavoli suoi, ognuno ha un suo motivo per farlo. Il fado fa solo da sgorgatore del pianto mentre la vita passa e se ne va. Ma la malinconia del giorno che finisce è solo una confessione all'aperto prima di un altro giorno di avventure nel mondo.

mercoledì 24 giugno 2009

Palle bianche

Milano, Porta romana. Sesso non è sempre amore. Amore non è sempre sesso. Una sera che avevo trent’anni sono uscito di casa per spostare l'auto dai divieti di sosta. Invece trovo una tipa con borsetta che mi chiede un passaggio. Era un brasiliano travestito vestito di rosso con un profumo da tappare il naso. Aveva delle gambe bellissime bianche e lunghe e sode.

Doveva andare da qualche parte e l'ho portata. Non mi ha chiesto niente e non gli ho chiesto niente. Il vestito rosso coi volà e le gambe se n'è uscito dallo sportello portandosi dietro il calore della sua pelle. Ma il suo profumo è rimasto nell'aria per qualche minuto come un fantasmino di borotalco. Non abbiamo fatto sesso, non ci siamo neanche parlati. Solo un saluto e uno sguardo dentro gli occhi. E lo sguardo diceva, devo andare perchè stasera non si cava un ragno del buco, mi stai simpatico, vedi cosa devo fare per campare. Così in qualche modo abbiamo fatto l'amore in un senso celeste. Perché l'amore è compassione.

L'innamoramento è un'altra cosa. Ci si innamora dell'idea che noi possiamo essere un'altra cosa lontana da qui. Un altro sè stessi costruito con la nostra mente. Alla fine gli uomini si eccitano per il sesso. Le donne si eccitano più per l'amore. Le donne devono fare i figli e gli uomini sono lo strumento inconsapevole. Le donne si concentrano sul maschio migliore. Gli uomini portano il seme ovunque nel mondo anche nel posto sbagliato. Come i fiori che attaccano i semi alla lana delle pecore o dei cani che passano. O come altri fiori che mandano al vento delle palle bianche e leggere di semi. E che diventano secchi e che poi l'anno dopo diventano nuovi da un'altra parte della strada.

martedì 24 marzo 2009

Piano trasparente

Milano, Porta Lodovica. Nella casa di campagna di nonno Turi, al Monaco, gli "inglesi" (che poi erano gli americani della 5° Flotta) avevano lasciato un piano durante la guerra e le corde di rame erano scoperte perchè il legno non c'era più. Gatti e sacchi di juta lo avevano salvato dalla distruzione totale da 25 anni. Pizzicavo le corde con le dita perchè di tasti non c'erano e la polvere asciutta dell'estate rimbalzava come se fossero di un contrabbasso. E risuonano ancora e mi danno alla testa. Più delle note degli organi da chiesa durante le prove prima della messa della domenica di Pasqua.

Una mattina di sole ho visto un pianoforte trasparente salendo a Santa Maria Maggiore. Dietro la vetrina di strumenti musicali il piano aveva le pareti in plexigas e tutto l'interno, come fossero ossa e budella del suo corpo sotto la pelle, erano esposto verso la strada. Camminavo a Roma e avevo fatto a piedi da piazza Venezia passando per le Terme di Traiano, i sampietrini e il selciato dei Fori Imperiali. Ma la salita verso l'Esquilino era finita dopo le due arcate di via Panisperna, quella degli scienziati della bomba all'idrogeno. E stavo sulla cima di un colle, potevo riposarmi e guardare la primavera dall'alto. 

Adesso ho una casa bianca e vuota. Ho visto un pianoforte di legno chiaro che rimanda delle vibrazioni. Lo vende un negozio di strumenti musicali che tiene un Sanbernardo nella cuccia all'ingresso. Vorrei per questo portarlo dentro la stanza buona con il parquet. E farci entrare anche il mio nuovo cane Bobbie quando lo trovo.

venerdì 20 febbraio 2009

Brodo di pollo

Roma, piazza Bologna. La stanza era umida in un semi interrato senza finestre. E quando l'aria non circola senti un odore di cantina e di stantio. Perchè l'evaporazione dei fumi non ha corrispondenza con il flusso di ossigeno da fuori verso dentro. L'odore del brodo di pollo si sentiva appena nel frigo per via della bassa temperatura. Così abbiamo aperto la scodella di plastica con il brodo del pollo spedito dalla mamma dell’Irpinia. 

Ma è bastato poco a farlo rinvenire quando poi abbiamo tentato di fare il risotto una domenica sera dopo il tradizionale cinema della domenica. Dopo il primo Tornatore che parla dei siciliani come fossero abissini dominati dai nobili aragonesi. Perciò gli odori della cucina andavano anche nel bagno e nella stanza con il divano letto. 

Il riso in brodo sarebbe andato anche sulle tamerici salmastre se avesse potuto uscire dall'appartamento rosso e senza finestre. Sugli abiti rossi sparsi sui mobili rossi e sulle spalline bianche il calore della pelle bianca era confuso con il colore e l'odore della pelle di pollo, con il suo essere una cosa di sostanza, un ricostituente indigesto. 

Sotto le coperte calde e umide per un certo tempo ci siamo stretti nella coltre del bianco, le facce bianche e rosse di porcellana e di papavero. Il brodo di pollo fa bene anche al raffreddore e alla tosse, lo dice l'esperto del giorno sul giornale del giorno.

giovedì 12 febbraio 2009

Musica nell'aria

Amo Bob Dylan da quando avevo il mangiacassette. E lo portavo al liceo per far sentire a tutti Storia di un impiegato di De Andrè o Desolation Row tradotta insieme a De Gregori.

Andava Homesick blues di Bob tra le basiliche la prima volta che ho baciato la mia ragazza. Così da circa 20 anni se mi capita a tiro vado a sentirlo nei concerti, l'ho visto in cima a una montagna in Austria che cantava con gli occhiali da sole, in una pozzanghera nella pioggia alla periferia di Milano, ma anche nel teatro greco di Taormina quando era già ridotto male.

Una sera a Bologna c'era il Papa davanti mentre faceva le scale con il cappello in mano e dopo qualche passo incerto da trapezista si è rialzato al volo e gli ha stretto le due mani. Una volta d'estate sono andato come gli altri pellegrini dietro alla sua carovana.

Ci sono dei versi di Tamburine man che ancora adesso dicono ogni giorno una cosa nuova e le canzoni sono fatte apposta per essere cantate in diversi istanti della tua vita. Ho sentito la prima volta le sue canzoni in un nastro. La cassetta era rossa e sulla copertina c'era una foto che somigliava a un'altra foto che avevo fatto ai miei capelli per sapere da che parte tirarli senza nascondere la faccia.

Dalle parti di Tulsa, Oklahoma c'era un campo di baseball della seconda divisione e la sera, prima del tramonto, la gente si è stesa sull'erba come a un pic nic. Ha cantato Hollis Brown ma anche Lonesome day blues, ha cantato My back pages con il violino dietro a sostenere il verso Oh but I was so much older then, I'm younger than that now. con la voce meno ubriaca di quanto non fosse nel concerto di Fort Worth, Dallas quando invece insieme a Willie Nelson non reggeva il duetto su I win again nel 2005.

Quando il concerto è finito nel parcheggio dello stadio e dagli sportelli aperti delle Jeep ho sentito le registrazioni pirata di altri concerti di qualche sera prima. E una sera di queste non dormivo quando nel mezzo della notte sono uscito dal motel sulla ferrovia e ho respirato l'aria di fuori.

giovedì 29 gennaio 2009

Occhi di S.Lucia

Mia madre ha ringraziato Santa Lucia per i miei occhi
I gioielli che aveva, li ha dati alla Santa per me.
Ha preso i suoi orecchini e quando è passata davanti mi ha preso in braccio
e mi ha fatto andare verso di lei.

Il corteo per le strade andava di sera il tredici dicembre
e scendeva quell’anno dal lato di levante.
Ad ogni tappa sparavano le bombe e poi tiravano
ancora la Santa con i lacci lunghi quanto un blocco di case.

Li aveva indosso gli orecchini d’oro e li ha levati
quando il corteo si è fermato alla quarta traversa.
Mi hanno sollevato sul carro d’oro illuminato
e ho messo gli orecchini nelle mani del maestro di festa.

Che a un certo punto ha gridato alla folla
"Con tutto il cuore! Viva Santa Lucia!"
Il fazzoletto bianco, allora, si è alzato due volte dal braccio
come la vela al vento di una nave in partenza.

Dice che in cucina, lei o la nonna friggeva qualcosa
l'olio bollente è andato in giro e qualcosa mi è venuto addosso.
Non ricordo niente, non è successo niente alla mia vista
e lei ha ringraziato Santa Lucia per questo nel ’58 o nel '59.

mercoledì 21 gennaio 2009

Foto di ponti


Roma, Porta Pia. Ieri mi hai inviato le foto della tua mostra sui ponti. Oggi mi hai chiesto “non hai niente da dirmi?” Le tue foto le conosco da più di venti anni. Gente di spalle che guarda il mare, ombre sui tetti dei palazzi in costruzione. La prima foto con te dentro, invece, era dentro una cornicetta di argento regalo di matrimonio poggiata su un tondo di merletto. Il tavolo era senza sedie come un altare in un soggiorno di una casa di corso Trieste.

Sono contento della tua mostra, vorrei vederti ma sono qui lontano. Le tue foto sono tristi ma profonde, c'è un sentimento di immanenza e di trascendenza. Ma la tua domanda la leggo anche al di fuori di questo. Perciò voglio anche dirti grazie per quanto mi sei stata vicina e per il tempo che siamo stati vicini e per i tuoi capricci di bambina, la tua risata e i tuoi denti bianchi. Avevi le tue scarpe verde acido e un nasino all'insù quando ci siamo parlati in un tappeto di moquette grigio topo.

Oggi è un giorno di pioggia, prima la neve ha rinfrescato l'aria e quando la respiri senti un flusso di idee che parte dal naso fino alla testa. Alla fine di ogni anno e di ogni estate e di ogni incontro si fanno i bilanci, si capisce la distanza tra te e quelle cose e come quelle cose e quelle labbra si ingrandiscono e si colorano di rosso. Spero che tu stia bene, anch'io sto bene come può stare un cavaliere senza scorta. Grazie per avermi baciato in un giorno di estate sulla sabbia. Ti voglio bene.

martedì 20 gennaio 2009

Il mare e il quinto cerchio



Non mi ricordo i particolari, mi ricordo una sensazione
come di un mormorio di un mare che sale e di un'onda insieme sulle orecchie e sul naso
come un'aria di montagna e di un lago specchiato nel gelo dell'acqua e nel calore delle tue braccia

Forse i francesi hanno ragione e il mare è femmina
io non so, invece... è il vento del quinto cerchio. quelle luci, quel calore... quel senso di sicurezza.
quel poter essere tutto se stessi per una persona sola che non ti giudica per tutto quello che sei