lunedì 23 gennaio 2012

Parasassi

Di mattina piccoli sassi increspano i capelli. La pioggia pesante cade sui tetti da una nuvola alta sopra il vulcano. Apocalisse di un'ora per ricordare le sette disgrazie del popolo.

Cristian dice: - Se apri gli occhi verso l'alto li riempi di polvere. Oggi non si lavora tra gli alberi. Giro per le strade e vedo un'ombrello aperto di uno che cammina.

Gli aranci prendono il colore della cenere, i terrazzi esposti sono diventati neri. Siamo sotto vento e imbarchiamo la cenere raffreddata dal cielo.

Le macchine scendono in città, lavorano negli uffici. I bar servono il caffé ristretto e un bicchiere di plastica con acqua minerale. La polvere sale fino al collo e non vi accorgete di niente.

giovedì 19 gennaio 2012

Piedi scalzi

La guerra era ormai persa, i soldati italiani rimasero scalzi.
Tagliati fuori, dormivano nel palmento dopo la vendemmia.
Il paese in collina aveva strade dritte e abitanti storti.
I soldati cantavano di sera lontani da casa come gli alpini.
Una canzone diceva - Ancora un litro di quel bon!

Erano ragazzi del nord a difendere i confini del mare.
Di giorno sedevano tra il torchio di quercia e le vasche di pietra.
Qualcuno disse di avere freddo e fame, qualcun'altro li aiutò.
Il padre li fece vestire, mangiarono le stesse cose dei suoi figli.
I figli diventarono i nuovi fratelli dei ragazzi venuti a sparare.

Pippa aiutava la madre a tessere le trecce, aveva 13 anni.
La ragazza sentiva un tale Marsiglia e imparò la melodia.
I soldati erano ragazzi padani e parlavano un'altra lingua.
Uno disse, - Siòr Pietro, se lo sapesse mio padre!
un'altro disse, - E' arrivato l'inverno e siamo senza scarpe!

Il padre andò da Giovanni il falegname con un legno di pero.
Fece dei sandali e Carmelo cucì le fette di cuoio.
Al tempo delle arance Pietro chiamò i soldati.
Smisero gli abiti della guerra, indossarono le scarpe nuove
e andarono a raccogliere i frutti del giardino.

lunedì 16 gennaio 2012

Frangie alate

Alle tre di pomeriggio dell'ultimo giorno dell'anno passano nel cielo di Fontanarossa colori a pastello. Tre nuvole rosse a forma di freccia alata puntano verso la pista. Tutto il resto è blu o celeste come lo sfondo delle pale dei Lorenzetti. In giro l'aeroporto è vuoto, vorrei baciare l'asfalto bagnato della pista dopo l'ultimo scalino.

Le bretelle non pesano sulle spalle, il cielo ha disegnato un triplo cuore con delle frangie e il vento di ponente è come una carezza gelata sulla faccia. Mi dice: svegliati, ora ci penso io. Cammino scansando gli urti del gregge che caracolla verso l'uscita. Dentro i vetri, nella sala, un circuito di gomma nera come per automobili trascina valigie e troller solo per me.

Il viaggio corre veloce tra le strade umide e i muretti a secco neri come la pece. Dopo tante curve in salita apro la porta di legno e dalle pareti pende uno stendardo di benvenuto. Una lettera e un disegno per ogni lettera come le tele di Matisse. La banana e poi il resto delle cose, appese in aria a far festa.