venerdì 31 dicembre 2010

Train of love

Just sitting here in this train chair
I believe tonight I dust my head
this morning fog is black like milk
I wonder why my dad was sick

As I rolling and tubling before I die
Don't want to know if you say goodbye
My baby is gone in the Berlin town
She said my wishes are going down

Boys and girls come to Rome
they say goodbye to this years with love
I'm going down in this rivershore
When you gave one time a lethal dose

giovedì 30 dicembre 2010

Dinamica del venire

Ero entrato dentro di te unendomi a te come in uno sport di scivolamento acquatico.
Tu stavi con la schiena appoggiata al letto e per un qualche quarto d'ora ci siamo baciati.
La luce era sul giallo rosso, l'aria era calda come di minestra e di cioccolattini sgusciati.
Il respiro si è fatto sempre più forte fino a quando la mia testa si è fatta come una nuvola.
Allora mi sono fermato a guardarti perchè l'amore si fa in due e io sono dentro di te.
Ho sussurrato qualcosa come per dire, ma quanto sei bella adesso.
Poi ho ripreso la danza jazz attorno ai tuoi fianchi e senza fine.
Ma la fine è arrivata quando ho sentito che era arrivata la fine di questo amore serale.
Il tuo respiro e la tua voce si sono alzati e allora anche io ho fatto lo stesso.
Sono uscito dal tuo corpo e dal mio è uscito un liquido che ho trattenuto con la mano.
L'amore alla fine dell'amore assomiglia alla convulsione della morte e della nascita,
assomiglia alla sceneggiata e alla caduta dentro l'area di rigore.
La fine dell'amore ricorda il duello al sole tra i gringos dentro la staccionata.
Lui si contorce colpito dalle pallottole allo stomaco, lei attonita come Santa Teresa.
Ho tenuto una mano sullo stomaco appiccicata alla pelle come fosse di pece.
Potevo essere colpito a morte e dal mio corpo trafitto sarebbe fuoriscita la vita.
Non so se ho risposto alla domanda. Accadeva nell'epoca dei fatti andati.

mercoledì 29 dicembre 2010

Vento da naca

Mi hanno dato il nome del padre di mio padre. Mia madre dice che non sopportava le luci accese la notte prima di partorire. Neanche io le sopporto in faccia quando sono a letto. L'ospedale dove sono nato è dedicato al Bambino Gesù anche se non ha niente di dolce e carino ma ha le pareti beige e gli infissi di alluminio. Mia sorella, otto anni dopo, invece, è nata in casa con la levatrice, la signora Nuccia.

Mia madre dice ancora: “Benediciamo u vento da naca". L'aria mossa dal dondolare della culla tra i due ganci spinta da una mano è il vento. L'amaca improvvisata negli angoli della casa è la naca. "Stù diretturi da clinica si chiamava Giuffrida, aveva 65 o 70 anni. Una mattina è passato con i medici più giovani e gli infermieri e ci disse - La testa di stù picciriddu è cchiù nica del seno che gli dà il latte.”

La mia casa era di rosa corallo. Sono cresciuto tra i profumi e gli odori di foglie di aranci, di conigli nella gabbia, terra bruciata, dalie nel vaso e grano ammassato nella cantina come il monte dorato di Zio Paperone. A maggio le donne del quartiere venivano nel pomeriggio a cantare le lodi alla madonna per un voto di dieci anni. La stanza era celeste alle pareti e bianca per i vasi di fiori, le trombe del Paradiso.

Sono andato via che ero giovane. Ho fotografato gli striscioni della rivoluzione, sono andato al funerale di Moro e poi di Berlinguer stringendo la mia ragazza sulle mura romane del Colle Oppio. Mi sono innamorato tante volte. Quando mi sono innamorato per davvero potevo avere un figlio. Ma non è successo. Molte volte mi sono perso. Poche volte ho trovato la strada. Adesso torno sempre dove sono cresciuto. Come un cavaliere di ventura, un ladro della mia stessa casa o un viaggiatore alla taverna che chiude la sera tardi.

domenica 19 dicembre 2010

Convertire l'avvoltoio

Ho certi amici parassiti malgrado loro. Come invece ne ho altri meravigliosi. I parassiti non ti chiedono qualcosa, però si aspettano che tu faccia qualcosa. Ce n'è una, per esempio, che io chiamo Patty. Sotto Natale ha preso una cassa di bottiglie di olio di oliva da portare ai suoi piccoli rondinini. Ero con lei al bancone quando la vedo sotto il peso del cartone di sei bottiglie da un litro.
- Pensavo di portare le bottiglie a due a due in bicicletta.
- Ma te le porto io. Mettiamole in auto se vuoi.
- E se poi l'olio si ghiaccia nel cofano? Ce la fai a portarle stasera?
- Certo che se l'auto sta fuori e si ghiaccia anche l'olio nel cofano. Ma poi si sghiaccia.
Sono come degli avvoltoi, girano al largo e non si sente il rumore. Poi ti giri e stanno li a guardarti con i loro occhi di ghiaccio. Parlano poco e quando lo fanno sussurrano. Forse non sono dei veri e propri amici come quegli altri. Non solo approfittano di te. Neanche ti ringraziano perchè il calore li ha abbandonati fin dall'infanzia.
Per riconoscere il parassita avvoltoio non basta chiedere se è un pisano o un marchigiano. Devi sentire dalla stretta di mano o da qualche dettaglio come gli occhi pesti e la magrezza innaturale. Il priccante avvoltoio passa e spassa. Ognuno sopravvive a modo suo. Prima o poi lo mollo. Oppure punterò come sempre sulla sua conversione.

sabato 18 dicembre 2010

Vittoria di Alem

Alem la pittrice eritrea organizza una cena a casa sua. Mi invita perchè ho comprato il suo quadro intitolato Vittoria. Era l'ultimo rimasto ma non per questo il più brutto. Alla cena si presentano personaggi variegati come il gelato al cioccolato belga squagliato un pò nel freezer. A Milano usa il gusto gelato variegato. Avrei voluto portare con me Agota perchè aveva l'aria di Edie Segdwick e qualcuno assomigliava anche a Andy Wharol parlando di pittori. Ma nel frattempo è andata via, a scroccare il suo prossimo piatto di minestra. Così Agota l'ungherese forse adesso si è data all'accompagnamento e incontra un tassista privato bergamasco che a sua volta accompagna gente con Mercedes.
C'è musica etnica ma nessuna rivoluzione nell'aria stavolta. Alem ha cucinato roba forte e piccante mostrando i suoi quadri naif verdi e rossi. C'era anche Anna la triste, a forma di Medusa del Caravaggio, che aspettava invano la telefonata di un uomo meraviglioso di Torino.
- Conosco un'altra tipa che aspetta le telefonate.
- Sarà lo stesso uomo?
- Le cose stanno cambiando tra uomini e donne.
- Mi aveva promesso che forse stasera...
- Avrà avuto dei problemi con il ghiaccio della strada. E poi la città è più lontana di quanto non sembra.

mercoledì 15 dicembre 2010

Due atmosfere

Ho un ranch nel far west. Senza acqua corrente, senza tv, senza carta da parati. La luce elettrica la porta un palo e le stanze si illuminano. Il pavimento è lo stesso cotto siciliano 12 per 12 che aveva nonna Micia nella masseria di Franchetto più avanti. Qualcuno ha portato via l'antenna tv perchè gli serviva e perciò ora è rimasto solo il palo su un lato della casa. Le quattro stanze sono in fila una con l'altra e si attraversano come quando a Versailles il re di Francia attraversava le sue. Queste hanno un difetto, non hanno finestroni ma solo porte di ferro.
- Le facciamo verde bosco. Va bene?
- Sì, va bene verde bosco. Ma il bianco delle stanze che bianco facciamo...
- Bianco bianco. Come esce dalla latta!
Quando dal cielo  piove  l'acqua scende dai canali di terracotta del tetto accostati e incavalcati uno sull'altro. Da un tubo di alluminio, se i passeri non l'hanno intasato, la pioggia riempie la cisterna fino a un punto di colmo, il troppo pieno. Da lì in poi tutta l'acqua se ne va per la terra da un tubo laterale. Ne approfittano l'albero di fico e l'ulivo cresciuto il doppio degli altri.
L'acqua va e viene però nel lavabo e nel water spinta da una pompa sommersa e da altri ritrovati della tecnica. Ci vorrebbe un idraulico ogni tanto ma qui nel far west, alla Kiana, passano solo le macchine grandi di Nino Pedalino o di Angelo Magrì. Parliamo di gente conosciuta. Gli altri che attraversano la luce di fronte al cancello guardano e uno ogni tanto saluta. Pensano di salutare qualcun'altro ma io li saluto lo stesso. Nino mi aiuta per le rifuse, un anno ha messo il fieno e poi ha girato le balle come rotonde sul mare. La bolla in pressione non funziona sempre e l'acqua non arriva a destinazione.
- E che ci vuole? La porti dal gommista e la gonfi.
- Come una ruota di gomma...
- Sì, a due atmosfere.
Poi posso fare la doccia e l'acqua ha il sapore e l'odore dell'acqua piovana.

giovedì 9 dicembre 2010

Non la riconosco

Devo ereditare una salma di terra e un mezzo garage da mio zio. Ci vuole un documento del comune.  Ho bisogno di un certificato per il prossimo lunedì mattina ma per averlo on line devi avere il pin che puoi richiedere on line chiamando dalle ore oppure, più facile, acquistare in lettore di card e infilarci la card regionale dei servizi. Faccio il numero verde del servizio on line del comune, risponde un signore gentile. Mi richiameranno dopo, nel 2014, e lo invieranno per posta.
Per non perdere tempo on line e non stressare i sistemi informatici vado in bici fino al palazzo dell'anagrafe.
- Favorisce un documento prego.
- Ecco la patente.
- Scusi ma chi è questo? Io non la riconosco.
- Come non mi riconosce?
- Non la riconosco. Lei non ha la carta di identità? La patente è valida ma io non la conosco.
- Guardi che la patente è un documento di identità.
- Si certo ma la foto è del 1978 e io non la conosco.
Vado allo sportello 19 dove c'è un addetto al riconoscimento. Ha un orecchino e non porta la stessa collana con la stella a sei punte dell'altro. Fa il certificato e chiede sei centesimi.
- Va bene. Me li dà la prossima volta.
Lo zio si chiamava Giovanni ma dice che gli inglesi lo chiamavano Johnny quando sono arrivati alla masseria di Monaco. Zio Peppe e cugino Vito lo chiamavano Johnny. Mio padre lo chiamava compare perché aveva battezzato Mimma, mia sorella. Che non vedo da quest'estate. La riconoscerò?

A Vasadonna

C'è una strada che mi piace fare perché è vuota di altre macchine. Sale verso la collina lasciandosi alle spalle gli uliveti e gli aranceti del feudo di Valcorrente. Si passa da Vasadonna e poi dalla chiesa della Misericordia. Ogni curva è sempre più ampia e dal muretto di pietra il ciglio, senza avviso, diventa un guardrail di lamiera. Più avanti c'è il campo di calcio, il comunale del San Gaetano coi suoi eucalipti a fare da frangivento.

Mi sono fermato davanti alla grande siepe sulla curva, forse tre anni fa in queste settimane e col cellulare ho fotografato la matassa di verde e di rosso. Poi ti avevo spedito il souvenir di un mazzo di fiori virtuali. Tu mi scrivevi ogni tanto e io ti rispondevo risparmiando sullo psicoterapeuta. Anche altre volte, nelle diverse stagioni, per la stessa strada sempre in salita, si vedeva questo broccolo infiorescente. La siepe ora ha sommerso il guard rail. Nessuno la cura e chissà quando improvvisamente sparirà bruciata dal fuoco.

Ho pensato che anche la nostra amicizia si sarebbe dissolta così come è nata. Ho pensato anche che eri presa dalle tue creature, che mi pensavi ma non mi scrivevi più. E così era. E' una siepe spontanea che mi piace curare, la nostra amicizia, perchè è nata ai bordi di una piazza e vive appesa a un muro o è sospesa. E' come la bolla dell'aria che gonfiava le camicie dei ragazzi aggrappati all'eucalipto. L'albero alto, allora, si piegava a dondolo avanti e indietro con lo stesso fruscio.

mercoledì 8 dicembre 2010

In the rain of Bergamo

We stand in line for a concert ticket and a coffee in a small cafe in Bergamo. As I standing inside the rain I hear a voice calling on a microphone after the fanfara introduction. He is the same old road manager voice. "Please welcome Columbia Recording artist, the poet laureate of rock and roll", this time with a quite and more profound semi tone. He also stops at "substance abuse" and "meet Jesus". And finally Bob Dylan in person and still alive, appears to thousand and a half people late in september 2008.
Bob is in black suit. Cap is white with a feather on the left side. He love that since seventies and you see in Us Rolling thunder review. And thunder is in the air at the top of the hill, north in the valley, 30 miles from Milan. This is the city of Resurgent Mille for the New Nation. But one thousand soldiers went to South of Italy in 1861 and they came from Bergamo. Strange that now they host a secession movement and party Lega Nord. They shout against central power of Rome, the Capitol Town of Thefth. 
It's a cold raining now. He sing Just like a woman (people with a candle light).
Nobody feels any pain
Tonight as I stand inside the rain
Ev'rybody knows
That Baby's got new clothes
But lately I see her ribbons and her bows
Have fallen from her curls.
 He also sing Tom Thumb' Blues
When you're lost in the rain in Juarez
And it's Eastertime too
And your gravity fails
And negativity don't pull you through

After all he's an occasional entertainer, a singer for one event. His first composition was a MotherDay baby poem. He has a great voice tonight with high and lows as a crooner. Some mistake in Moonlight is forgiven. The nadir of the night was the boring Honest with Me. And Highway 61 went in a routine way. The man plays harmonica in a Happy birthday for a friend before Thunder on the mountain. He sang delicate and sublime as possible. Every verse of Hard Rain is a profecy but he misses the last one, "And I know my song well before I start singing".
Danny Freman solo in Like a Rolling stone was new and great. He invented a new melody. At the end Bob was pale like a ghost, got the harmonica and say hello friends with a smile.
And she takes your voice
And leaves you howling at the moon.

martedì 7 dicembre 2010

Temptations

Era d'estate prima degli esami della maturità e andava tutto bene. Il paese era in festa di sera e di domenica, il cielo azzurro e l'aria restituiva il fresco profumi dei fiori a consolazione del freddo e del gelo dell'inverno piovoso. I turisti tedeschi, di mattina presto, salivano in auto verso la montagna. E le ragazze camminavano con le gonne corte sulla pietra nera del decumano romano. Dicevano la Strada Dritta, ora via Roma (la ex Via Etnea), con un marciapiede ampio rifatta nel settecento dopo i sette terremoti e le slavine di pietra incandescente.

Io portavo la maglietta con le strisce orizzontali, i capelli erano più lunghi buttati indietro e i pantaloni si aprivano a zampa d'elefante. Nel pomeriggio, sulla vespa con Pippo Katango, inseguivamo le femmine o passeggiavamo davanti casa perchè a volte stavano all'ombra dei pergolati. Le caruse si affacciavano dalla finestra e noi tornavamo indietro due o tre volte. Le madri, intanto, passavano i pomodori pelati nel forno per togliere i batteri, i padri dormivano prima di andare nel giardino degli aranci.

Gli esami della scuola erano duri e chiunque aveva paura. Si studiava per la sessione di luglio quando davanti a un bancone di giudicanti passavi l'interrogatorio. Dovevo scrivere di un triestino dal volto triste. Era Italo Svevo, il pioniere dell'inquietudine selezionato da Salvo Di Lorenzo, il professore occhialuto e dal naso dantesco. Il prof catanese aveva letto i miei temi sul foglio protocollo piegato in mezzo. Parlavo del senso di vuoto e della vita priva di senso. Anche se invece dei bluson noir parigini portavo le zattere ai piedi e a ferragosto con la Mary ci baciavamo sotto un gelso.

Comunque Svevo parlava di un impiegato delle assicurazioni steso dalla noia e dal rimorso. Parlava dell'inquieto vivere sotto le sembianze dell'inutile girare intorno alle cose. Anche oggi mi è apparso un Di Lorenzo dal volto sornione sotto le sembianze di uno scrittore di romanzi della finanza. Vuole sapere cosa ne penso del suo romanzo su tale Corinnah Kroft. Un vero furbone delle sette cotte. Invece il primo Di Lorenzo della mia vita mi aveva regalato il libro su Zeno e già in primavera a maggio lo avevo sfogliato su un prato di erba del tiro al piattello.

A luglio si doveva studiare e con un altro Pippo, quello di San Giuseppe, andiamo al fresco di montagna. Prendo la macchina alle cinque di pomeriggio e vado a raggiungerlo. Un mangianastri a cassette e a batterie teneva il tempo di soul, pappapà-pappappàppa, per le strade strette a 800 metri sul mare alle porte del vulcano. La macchina andava con i finestrini aperti nel pomeriggio tra il verde dei castagni al ritmo dei Temptations. La guidavo senza patente con il braccio fuori dal finestrino, come quando a Ramione ho preso una sbandata dopo la curva. Ora, però, non rischiavo di prendere alberi ai bordi delle cunette. La 850 saliva più docile verso il monte di Santo Leo, un cratere spento circondato anche dagli abeti. Andavo alla casetta di Nino Sava a dormire in montagna e studiare prima degli esami. Pippo citava i suoi compagni dotti catanesi. Che in italiano traducono dal siciliano. "Sono andato a fare una gita con una quella di amici". Dove quella sta per alcuni. La macchina volava silenziosa nel cielo sopra la pece nera e nel giallo delle ginestre.

venerdì 3 dicembre 2010

Pippo Katango

Io non parlo l'urdu. Ho mentito, è vero lo confesso. Volevo solo farmi notare o forse era una nota stonata per essere divertente. Mi piace essere divertente quando mi sento bene. Mi piace condividere il positivo, meno il negativo.

Ho detto di sapere la lingua urdu non sapevo neanche dove si parlasse l'urdu. Invece la parola urdu fa rima con urzu, che vuol dire grezzo nella mia lingua siciliana. Una persona urza è una persona poco urbana.  - Ma quanto sei urzu! dicevano a un terzino della nostra squadra di calcio. Io avevo i piedi buoni, invece Pippo aveva i piedi come il ferro da stiro. Gli avversari attaccavano sulla destra con l'ala destra. Pippo si presentava davanti e spazzava la palla. A volte spazzava anche l'avversario. E allora il tifoso critico gridava a Pippo: - Urzu! Lo gridavano anche ad altri, a tutti quelli che rovesciavano per la terra senza erba avversari pericolosi.

L'urdu si parla in Afghanistan o Pakistan. Mi sta simpatica la parola. Mi stanno simpatici i pakistani per via della somiglianza con certi miei parenti o paesani siciliani. Quando vedo un pakistano che vende i fiori all'angolo con la sciarpa mi ricorda un mio cugino di secondo grado. Ha la stessa forma della testa e le stesse mandibole. I pakistani sono silenziosi e fanno il loro lavoro. Forse per questo mi sento vicino ai pakistani. Mi sento vicino anche a Pippo in fondo quando rovescio le tazzine del caffè per l'imbarazzo. Per questo ho deciso di chiamarmi Katango, un dinosauro che calpesta i grattacieli. E anche perchè mi sento vicino anche al mio amico Pippo. Che infatti tutti chiamavano Pippo Katango.

mercoledì 1 dicembre 2010

Materasso ad aria

La prima volta che ho incontrato Mary Lanotte aveva un cappottino bulgaro alla fermata del treno. Siamo andati a passeggiare su una strada stretta e asfaltata in direzione del castello di Bolognate, un mezzo metro sopra il livello dei terreni intorno. Lei portava i pantaloni e non ha mai smesso di farlo finora. Forse per risparmiare si nutriva solo di caramelle blu e di yogurt alla mela. Quel giorno stava in piedi con la schiena dritta vicino a un sottopassaggio del treno. Più il tempo passava e più le cose da dire erano andate a finire in un solo vortice di tensione dissimulata. - Perchè ti ho invitato? - Cosa sono venuto a fare fin qui?
Il campo di mais scorreva di lato, i gatti giocavano dietro una recinzione di legni marci e il ristorante era freddo e vuoto come la neve di questi tempi. Quando Mary ha visto il menu è scoppiata in una risata falsa compulsiva. Ho detto al cameriere - Ci porti i quadrucci in brodo. Ho pensato - Almeno ci scaldiamo e poi nel caso si aggiusta tutto con un pò di grana padano. Il tetto era alto e l'ambiente accogliente come una sala da ballo prima del ballo.
In seguito abbiamo preso vari the e caffè aspettando che si freddassero per essere bevuti. Ma il tempo passava senza parole e mi sembrava di essere Oblomov in una taverna oppure qualche marito stanco dopo cena. Nel frattempo lei era passata da un nero dei capelli a un rosso ramato. Abbiamo impiegato sei mesi prima di salutarci con la mano e circa dieci minuti per abbracciarci senza il maglioncino.
Lei adesso lavora in un palazzone dell'ortopedia applicata e ha cambiato corsia di ospedale. Anche la casa è diversa ma ha ancora un problema. Deve ancora comprare un letto nuovo. Dorme su un materasso ad aria compressa che può spaccare qualsiasi schiena. Se ti addormenti da un lato rotoli dall'altro come un cuscinetto a sfera. Adesso Mary ha male alla cervicale, ma io che ci posso fare? Ho le mani pranoterapeutiche, è vero, posso fare un massaggio. Per intanto le ho regalato un ficodindia e insegnato ad annaffiarlo.