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Temptations

Era d'estate prima degli esami della maturità e andava tutto bene. Il paese era in festa di sera e di domenica, il cielo azzurro e l'aria restituiva il fresco profumi dei fiori a consolazione del freddo e del gelo dell'inverno piovoso. I turisti tedeschi, di mattina presto, salivano in auto verso la montagna. E le ragazze camminavano con le gonne corte sulla pietra nera del decumano romano. Dicevano la Strada Dritta, ora via Roma (la ex Via Etnea), con un marciapiede ampio rifatta nel settecento dopo i sette terremoti e le slavine di pietra incandescente.

Io portavo la maglietta con le strisce orizzontali, i capelli erano più lunghi buttati indietro e i pantaloni si aprivano a zampa d'elefante. Nel pomeriggio, sulla vespa con Pippo Katango, inseguivamo le femmine o passeggiavamo davanti casa perchè a volte stavano all'ombra dei pergolati. Le caruse si affacciavano dalla finestra e noi tornavamo indietro due o tre volte. Le madri, intanto, passavano i pomodori pelati nel forno per togliere i batteri, i padri dormivano prima di andare nel giardino degli aranci.

Gli esami della scuola erano duri e chiunque aveva paura. Si studiava per la sessione di luglio quando davanti a un bancone di giudicanti passavi l'interrogatorio. Dovevo scrivere di un triestino dal volto triste. Era Italo Svevo, il pioniere dell'inquietudine selezionato da Salvo Di Lorenzo, il professore occhialuto e dal naso dantesco. Il prof catanese aveva letto i miei temi sul foglio protocollo piegato in mezzo. Parlavo del senso di vuoto e della vita priva di senso. Anche se invece dei bluson noir parigini portavo le zattere ai piedi e a ferragosto con la Mary ci baciavamo sotto un gelso.

Comunque Svevo parlava di un impiegato delle assicurazioni steso dalla noia e dal rimorso. Parlava dell'inquieto vivere sotto le sembianze dell'inutile girare intorno alle cose. Anche oggi mi è apparso un Di Lorenzo dal volto sornione sotto le sembianze di uno scrittore di romanzi della finanza. Vuole sapere cosa ne penso del suo romanzo su tale Corinnah Kroft. Un vero furbone delle sette cotte. Invece il primo Di Lorenzo della mia vita mi aveva regalato il libro su Zeno e già in primavera a maggio lo avevo sfogliato su un prato di erba del tiro al piattello.

A luglio si doveva studiare e con un altro Pippo, quello di San Giuseppe, andiamo al fresco di montagna. Prendo la macchina alle cinque di pomeriggio e vado a raggiungerlo. Un mangianastri a cassette e a batterie teneva il tempo di soul, pappapà-pappappàppa, per le strade strette a 800 metri sul mare alle porte del vulcano. La macchina andava con i finestrini aperti nel pomeriggio tra il verde dei castagni al ritmo dei Temptations. La guidavo senza patente con il braccio fuori dal finestrino, come quando a Ramione ho preso una sbandata dopo la curva. Ora, però, non rischiavo di prendere alberi ai bordi delle cunette. La 850 saliva più docile verso il monte di Santo Leo, un cratere spento circondato anche dagli abeti. Andavo alla casetta di Nino Sava a dormire in montagna e studiare prima degli esami. Pippo citava i suoi compagni dotti catanesi. Che in italiano traducono dal siciliano. "Sono andato a fare una gita con una quella di amici". Dove quella sta per alcuni. La macchina volava silenziosa nel cielo sopra la pece nera e nel giallo delle ginestre.

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