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Tornavento di Malpensa

Ho inciampato su un lato dell'autostrada verso il cielo, la pista di decollo con i suoi hub e gli assistenti di volo con la guaina del salvagente. Eravamo verso la Malpensa aeroporto nella frazione di una frazione di un comune dal nome comune della zona fatta di Olona e di Olgiate. Erano le 11 di mattina e nel tavolo a fianco servivano colazioni a base di formaggio, salami di colore rosso acceso e vino rosso.

Prima ci siamo persi tra le rotonde anti traffico ma poi l'ho convinta a fermarsi e fare due passi verso una piazza davanti alle cattedrali bianche del Nord. Con la sua bocca da cowboy ha detto: "Ti porto in un posto dove non sono mai stata". Sull'altipiano di Tornavento eravamo, dove si apre il teatro dell'ultima pianura della grande Padania. Che è un grande stato ultra piatto circondato dalle Alpi e Appennini oltre i quali bivaccano gli altri italiani, mantenuti dalle tasse prelevate ai lavoratori della Terronia e della Arabia giunti fin qui.

Lei resta con il cappello in testa e il suo naso da cherokee mentre beve il cappuccino e racconta qualcosa. Come dei suoi affari andati a male giù a Djerba, Tunisia e di suo padre rinchiuso nella villa. Gli ha fatto credere di essere pazza per farsi dare un pò di soldi perchè non lavora più e ora ha anche perso la sua amica del cuore. Una tipa che si è fatta improvvisamente grassa, ha abbandonato i figli e fa l'amore con chiunque capita a tiro.

Le foreste e le montagne di Tornavento sono una quinta di teatro. Come i paesaggi del Tintoretto o come le cose dipinte al teatro alla Scala di Milano per un'opera di Vincenzo Bellini. Ma ormai sono le 12 e 30 devo tornare verso il check in dove mi stanno aspettando. E lei mi riporta indietro fumando le sue sigarette sotto il naso e la bocca stretta. Le resta da passare un sabato ancora intero e più tardi nella noia del pomeriggio mi manda un messaggio: "Tesoro sei arrivato?" "Sono arrivato grazie. Qui l'aria è secca e il vento va verso il mare stavolta."

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