Quasi all'incrocio sulla Strada della Speculazione, quando via Molino delle Armi diventa via di Santa Sofia, una vetrina a giorno mostra le mercanzie al quartiere dei ricchi. Pezzi di bue grasso, cosciotti appesi a un gancio, polpette di prim'ordine e ora anche i prodotti da forno scelti che brillano di luce propria anche protetti dalla tenda da sole.
Chi entra nel negozio confida nel bue allevato in collina piemontese. La bestia di pregio proviene dalla zona delle Langhe, è grassa ma anche tenera perchè la carne è color rosa, la più adatta a denti fragili o stomaci delicati. Alla cassa c'è la padrona ma sta sempre nascosta. E' la vedova del fondatore Faravelli, la cui foto insieme al suo ultimo Bue Grasso della fiera di Carrù è stata rimossa a due anni dal suo decesso per infarto. Dalle pareti bianche pendono le carni grosse appese a un gancio. Il grosso del sangue è scivolato via lasciando un colore rosa nelle fibre carnose mentre il bianco delle ossa è candido come le maioliche.
Il signore con gli occhiali, in piedi, taglia la carne dietro al bancone. Le sue mani e la sua carnagione, si vedono di profilo, sono come il colore della carne sul tagliere di legno. Il grasso della carne macellata è lo stesso bianco dell'interno delle sue braccia scoperte dalla camicia fin sul gomito. Non è grasso come il bue, l'addetto alle carni è magrissimo e butta l'incarto sulla bilancia. Fa 25 euro.
Sul bancone le carni stese si muovono e si alzano a ogni taglio di bistecca insieme a tutto il braccio. I tranci rosa vellutati si muovono verso la carne dell'uomo con gli occhiali. Che taglia con le mani nude, accarezza la carne morta prima dell'incisione mentre le sue dita si fanno ancora più umide. E come fossero delle funi di foresta le fibre della carne lo intrecciano e lo trattengono, lo tirano dentro il loro calore residuo. Lui stesso, in camice bianco velato di strisce rosse, sta vicino alla porta grande del frigo del Bue di Carrù. Senza più colore nè calore, fino all'osso.
Chi entra nel negozio confida nel bue allevato in collina piemontese. La bestia di pregio proviene dalla zona delle Langhe, è grassa ma anche tenera perchè la carne è color rosa, la più adatta a denti fragili o stomaci delicati. Alla cassa c'è la padrona ma sta sempre nascosta. E' la vedova del fondatore Faravelli, la cui foto insieme al suo ultimo Bue Grasso della fiera di Carrù è stata rimossa a due anni dal suo decesso per infarto. Dalle pareti bianche pendono le carni grosse appese a un gancio. Il grosso del sangue è scivolato via lasciando un colore rosa nelle fibre carnose mentre il bianco delle ossa è candido come le maioliche.
I ricchi mangiano anche il contorno e non badano a spese. I poveri, invece, passano davanti alla vetrina e non la guardano per non doversi vergognare. Quelli che sono poveri - senza ancora immaginarlo - guardano solo i prezzi. C'è chi spera in un crollo del mercato bovino all'ingrasso, altri si sentono ormai vegetariani e immaginano un giorno di sentirsi in forma.
Il signore con gli occhiali, in piedi, taglia la carne dietro al bancone. Le sue mani e la sua carnagione, si vedono di profilo, sono come il colore della carne sul tagliere di legno. Il grasso della carne macellata è lo stesso bianco dell'interno delle sue braccia scoperte dalla camicia fin sul gomito. Non è grasso come il bue, l'addetto alle carni è magrissimo e butta l'incarto sulla bilancia. Fa 25 euro.
Sul bancone le carni stese si muovono e si alzano a ogni taglio di bistecca insieme a tutto il braccio. I tranci rosa vellutati si muovono verso la carne dell'uomo con gli occhiali. Che taglia con le mani nude, accarezza la carne morta prima dell'incisione mentre le sue dita si fanno ancora più umide. E come fossero delle funi di foresta le fibre della carne lo intrecciano e lo trattengono, lo tirano dentro il loro calore residuo. Lui stesso, in camice bianco velato di strisce rosse, sta vicino alla porta grande del frigo del Bue di Carrù. Senza più colore nè calore, fino all'osso.
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