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Musica senza quinte

Le musiche della sera erano posate tra i fogli bianchi aperti come ali di colombe sui trespoli cromati degli orchestrali. La sala era ancora vuota mentre il palco, rimasto senza alcun decoro, mostrava il muro perimetrale dello stabile sporco di buchi nell'intonaco. Le quinte, la parete finta o la tenda dello sfondo del teatro, non c'erano proprio più.

Tutto era pronto per il primo concerto dell'anno nel cartellone delle sinfonie. Quella sera avrebbe eseguito e diretto le sue composizioni il pianista dagli occhiali neri e basette bianche di nome Ludovico, figlio di un editore torinese. Che era stato il paladino dei lavoratori oppressi e degli scrittori militanti, famoso anche per un'enciclopedia originale a tema degli anni ottanta venduta a rate e mai riscosse del tutto (almeno da me).

Ora il musicista Einaudi, 58 anni, tanti concerti in ambienti sofisticati per palati fini e giovanili, avrebbe suonato ancora una volta nel teatro dedicato al maestro dell'era romantica dell'opera Vincenzo Bellini. L'aria della Norma composta dal giovane siciliano si canta ovunque, anche ai matrimoni. A lui è dedicato l'aeroporto che tutti, però, chiamano ancora Fontanarossa. Ma quel giorno di una settimana tiepida d'inverno a Catania gli orchestrali e gli impiegati erano in sciopero; la maggior parte era in trasferta a Palermo davanti alla Regione a protestare per il diritto di ricevere uno stipendio.

Fuori, come in tempo di guerra, la gente non aveva molto da comprare, le saracinesche dei negozi sembravano chiuse da mesi e le nuove luci della piazza pedonalizzata lasciavano al buio la bella facciata di uno dei teatri più belli del mondo. Un cartello bianco scritto al computer su foglio A4 attaccato alle barre, per l'occasione, diceva di non insistere perché ormai i biglietti erano esauriti; gli appassionati dell'ultim'ora facessero il piacere di stare alla larga.

I cancelli di pesante ferro battuto rimasero chiusi fino a pochi minuti dall'inizio del concerto. Si poteva, invece, entrare senza alcun controllo dalla porta secondaria riservata al personale dove un gabbiotto faceva da riferimento per un gruppo di persone scioperanti. Anche il maestro torinese passò un paio di volte davanti al baretto. Vestito di nero come sempre, gli stivali di pelle, diede uno sguardo alla tv accesa del caffè al suo ritorno e salutò qualche fan sorpreso della presenza solitaria.

L'artista fece il suo ingresso sulla ribalta con un inchino appena accennato. Il pubblico scarso sembrò ancora più sparuto perché applaudì quel tanto poco che fece pensare a qualcuno, Applaudo anch'io per sostenerlo in questo gelo. Il maestro prese posto al pianoforte nero, grande e lungo come una barca, e poi si alzò un attimo per provare la bacchetta, pronto a dirigere la piccola squadra di orchestrali anche dal suo posto al centro del palco, la schiena rivolta al pubblico.

Con le mani acconciò sotto la schiena la giacca che sventolò per un istante fino a che la gente, rimasta bardata nei suoi cappotti e pellicce d'occasione, non prese posto in platea e nei palchetti barocchi sotto il soffitto affrescato con i colori tenui del pastello. Tra le nuvole alcuni angioletti dalle gote rosate guardavano l'orizzonte per indicare un posto ancora più soave di questo a delle signore paffute con gonne lunghe fino ai piedi. Una figura dell'affresco porta una ghirlanda di fiori a qualcuno non compreso nel tondino.

La scenografia dello spettacolo riservato agli abbonati,  chiusa la biglietteria normale, era ridotta al minimo, nessun addetto alle luci del teatro era disponibile a manovrarle in funzione dei tempi scenici del concerto. Dentro era umido, più freddo che fuori. Il teatro Massimo Bellini era un posto solenne ma, mezzo vuoto. Risuonava di un'eco insolita ai suoni ripetuti delle note dei violini. Anche il piano forte a coda mancava di qualcosa che lo vestisse, la parte superiore della cassa armonica mancante lasciava aperte le corde, i martelli e il legno chiaro.

Neanche la melodia intensa degli ultimi pezzi potè scaldare gli animi della maggioranza; invece una piccola agguerrita minoranza lo applaudiva sempre più forte quanto più il musicista avanzasse nel programma in due tempi. Poteva anche rischiare di cadere Ludovico. Con l'incedere del pezzo strumentale il suo movimento all'indietro sulla poltroncina di pelle nera lo proiettava troppo vicino alla perpendicolare sul vuoto. Al momento di ringraziare, poi, faceva un passo indietro verso il margine della ribalta, pochi centimetri prima di cadere verso lo spettatore della prima fila.

 Gli ascoltatori, in maggioranza fior di professionisti in pensione con moglie al seguito, avevano preso sonno oltre la prima fila e, alla fine, uscirono sbadigliando ma più riposati. L'età media era sui settanta anni con almeno 25 anni di anni di prelazione esercitata in abbonamento. Uno più giovane per compiacere un parente disse, scuotendo la testa, Ma che musica è? Sul tetto c'erano tre putti tra i fiori ma uno era di colore.

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