venerdì 16 aprile 2021

Mucciaccio

Era un ragazzo quasi biondo con dei riccioli, senza barba né baffi. Se ne parlava con rispetto ed educazione, era il migliore della squadra avversaria. Quando correva verso la palla sembrava un ballerino o che pestasse delle uova, con le gambe larghe allargate a cancello. Al momento della scena madre, la punizione dal limite, si preparava al tiro tenendo le braccia alte come le ali di un uccello spaventato.   

Aveva anche una bella stangata da fuori area. Tirava sull'angolo e il pesante pallone di cuoio deformato scheggiava il palo quadrato fatto di legno. I tifosi lo osannavano al punto che il padre sugli spalti era circondato sempre di gente. Invece i tifosi avversari dicevano che era malato, nel senso che sembrava facesse la sfilata. Come se fosse un damerino, perché loro erano dalla parte degli uomini duri.

In una domenica di primavera la gente era vestita da domenica con la giacca. Qualche ragazzo portava i capelli freschi da parrucchiere, con le onde sulla testa come fossero le onde del mare forza 7 ma regolari. Francesco era detto u Mucciaccio e grazie al Mucciaccio la squadra vinse il derby, la sfida della città con 5000 spettatori sugli spalti dello stadio dedicato a San Gaetano. 

All'ingresso in campo le righe sulla terra di gesso erano intatte, come disegnate dalla carriola. Al momento del goal, dal'anello di sopra la gente saltava all'anello di sotto, qualcuno si abbracciava e il pallone andava a finire tra gli eucalipti o nel campo di ulivi per l'esultanza. All'inizio del secondo tempo la gente cambiava zona e i più esperti, di solito chi leggeva il giornale al bar, si posizionava a tre quarti della tribuna.

Turi Farfalla per difendere gli sconfitti arringava la folla accusando l'arbitro di ogni male possibile, poi si rivolgeva al singolo calciatore e lo copriva di insulti. I ragazzini seguivano il predicatore come se fosse il capo banda. C'erano due cartelloni della pubblicità sul bordo del campo, uno dedicato ai materiali per l'edilizia e l'altro alle autorimesse. Farfalla, era il soprannome, fumava e urlava facendo più volte il giro delle tribune scoperte. 

Il presidente seguiva l'azione di gioco a bordo campo e si contorceva a ogni scontro o tiro pericoloso. Giocava la sua partita e spesso parlava di un terzino chiamandolo Vavaluce, cioè lumacone. Per lui invece io ero Rivelino perché assomigliavo nel gioco all'ala sinistra del Brasile campione del mondo. Ma non giocavo ancora le partite dei grandi. 

Spesso il Muccciaccio si scontrava con l'arcigno difensore avversario e cadeva per terra. Ma giocava un calcio superiore come se venisse dall'estero, si diceva che fosse nato in Argentina. Poi abbiamo capito che Mucciaccio stava per muchacho, nessuno all'epoca sapeva delle lingue estere, compreso  l'italiano. 

Anche Don Jose era venuto o tornato dal sudamerica ed era il custode degli spogliatoi. Dove dopo la partita si accalcavano tutti i protagonisti, compresi gli allenatori e i massaggiatori. Intervistai l'allenatore vittorioso. Presi appunti su un quaderno in mezzo alla folla di gente sudaticcia e in calzettoni.

Dopo il derby facemmo una riunione di redazione, il giornale era distribuito a mano nelle strade vuote la domenica per la crisi del petrolio. E insieme si decise di intervistare il Mucciaccio. Così una sera presi il mio quaderno e salii per le scale di una casa vicina alla mia della 4 traversa. 

Suonai il campanello, era una scala stretta e ogni scalino era altissimo. Salii dal pian terreno al primo piano ed entrai nella cucina dove a un tavolo illuminato era seduto il Mucciaccio. Dopo averlo salutato mi sono seduto, ho aperto il foglio e con la penna in mano gli feci la prima domanda.

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