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Pinco Pallino XIV

Beatrice, mia nipote, ha raccolto l'uva con il suo coltellino nero. A momenti lo perdeva come aveva perso la bambola a teatro. Stavolta non piangeva, c'era anche la bimba rumena e i fratelli a portare le casse. Sopra Franco Sancho Panza litigava con Christi per le cure alla pronospera. Sotto Pippa e Nino, seduti a guardare, facevano ogni tanto un cenno con la mano.

Osvaldo, venuto dalle montagne dell'Asia, si è portato appresso i cioccolatini di Cuneo con il rhum. La scatola più bella dei bacetti di Fossano è di vimpelle rossa, targata Giuffrida emigrato nelle Langhe. Aveva lo stesso nome il capellone studente di S.Maria di Licodia, il fabbro di ringhiere Nino o il cugino fotografo di Marietta Sciacca.

Tra marrikkiti e marrakkiti abbiamo totalizzato sessanta nove casse e mezzo, considerando l'annata poteva andare peggio. A chi gli mancò il legame del frutto e a chi gli occorse un altro danno, tanto che il prezzo è arrivato a un euro e dieci. Verso le due Bonanno ha fritto sei arancini al ragù, e prima della pioggia intorno al tavolazzo con i peperoni di Mimma e il vino vecchio il discorso cade sull'albero sopra di noi. Il pistacchio che fa ombra, va bene, ma non diventa manzo fino a quando non viene il compare di Bronte, l'unico che lo può innestare.

La cantina ha quattro botti, ognuna da 500 litri. Ne abbiamo riempita solo una. Il tappo rotondo a vite di ognuna contiene una pallina di vetro colorata. Il gas nel vino, detto anche nervino secondo Totti, sale verso l'alto e la pallina non fa entrare aria. Tutto fermenta in natura non solo l'uva e il succo d'uva. Dopo decenni il vino continua a cacciare le impurità e lascia un fondo di bottiglia.

I batteri attaccano gli zuccheri e li trasformano in alcol etilico, il liquido dopo mesi e settimane prende il sapore della buccia dell'acino. A seconda dei fiori intorno la pallina di uva nera o bianca assume il profumo dei fiori di di mele piantate a fianco da Zio Johnny oppure dei cachi di Don Malafigura o del fico o delle albicocche. Anche certi fiori bianchi, piccoli e pungenti, spalmano odori sopra l'erba al camminare.

Da oggi è arrivato il gatto in cantina, il vino prenderà qualcosa dell'odore di Pinko Pallino XIV. Lo ha regalato la zia Cetti con la scusa dei topi invasori o della visione subitanea della serpe nera. Ha tre mesi e mangia solo crocchette. Forse la serpe ero uno scorsone buono, forse se n'è già andata via per i tetti.

Christi, il ragazzo con quattro figli dai Carpazi del paese di Jasi, si butta a capofitto, cerca la serpe sotto la lavatrice o dietro il muro. Niente, è tutto a posto. Ha la sua moglie Nadia che è piccola ma ha il naso da pugile, lui invece ha la fronte arcuata, un bel sorriso da pescatore di carpe nel fiume e il fisico da pugile. Il figlio più grande si chiama Jonutz, io ho detto - Giovannuzzo, e lui mi ha abbracciato.

Insieme seduti a fianco siamo partiti verso l'ovest una mattina con il sole. I sacchi di lenzuola, con le scarpe e le bambole, erano gonfi come i teli al vento dei mormoni verso il Dakota. Jonutz mi guardava ogni tanto negli occhi. Con una mano stringevo gli occhiali, con l'altra guidavo il carro verso la strada e le colline.

Commenti

  1. è un ritrovo, un appuntamento necessario come una medicina, anche se solo anno dopo anno, tra gli affetti che ritornano come i ricordi non sepolti, come i valori che non si dimenticano perché sono importanti...
    è così la finestra del nostro vivere, risultato di scelte, più o meno coraggiose, più o meno consapevoli, come il vino, liquido che si trasforma e prende il sapore dei profumi intorno... anche i batteri però sono necessari nel processo di trasformazione, e tutto fermenta... ma alla fine le impurità rimangono sul fondo...
    A volte penso che solo chi ha la Sicilia nel sangue possa accettare la Sicilia, anche da lontano, e non avrebbe abbandonato il Dakota... forse è rimasta solo la serpe, forse ha ingannato anche Pinco Pallino...

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  2. O forse nessuno ha ingannato nessuno, e le cose vanno, a conti fatti, secondo il loro corso naturale.
    E' già rischioso esprimerci su quanto conosciamo, o supponiamo di conoscere; cercare di indovinare quanto non si conosce lo è molto di più: si rischia di cadere in errore - e non lo dico ergendomi dall'alto della mia superiorità ma dal basso della mia esperienza.
    Si rischia di leggere per sé quanto per sé non è, o di leggere fra le righe una verità più o meno illusoriamente carica di significati che perlopiù sono inconoscibili nei fatti.
    E così si rischia perfino l'autoinganno... che talvolta, per alcuni, è il minore dei mali: dà la sensazione grandiosa di avere sconfitto, o eluso, un presunto male - evitando di interrogarsi, e di interrogare, su quali possano essere state le ragioni della serpe.
    La quale, peraltro, a quegli occhiali potrebbe perfino esserci affezionata.

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