Lei viveva sopra un supermarket con una luce rossa da abat jour dietro la tenda rossa. Aveva parlato di una doccia da fare in tre con la sua amica Stefy. Due al prezzo di uno, aveva detto. Così lasciai perdere la pianista dai capelli lunghi e passai un'ora in macchina ascoltando la radiocronaca della partita. La squadra perdeva ancora una volta. Pensavo, avrò fatto bene a non godermi la ragazza dalle pratiche a base di argilla ventilata solo perché aveva fatto la stuffusa?
Il supermercato era verde, occupava un intero blocco e aveva un solo piano di sopra. Lei scese dalle scale dopo aver detto, adesso arrivo. Pensava che fosse sconveniente farmi entrare subito. Avrei visto le decine di paia di scarpe sulle scale dell'ingresso solo alla fine. Il programma della serata era saltato, Stefy non c'era più. Forse si erano fatte le coccole da sole. Non ci restava altro da fare che una bella passeggiata per vedere il panorama dall'alto delle mura.
Quando è salita in macchina sembrava che avesse la gobba. Eppure la faccia era regolare guardando la foto di profilo. Come è difficile sapere di avere a che fare con una gobba quando si pensa a una fantastica ragazza che ti massaggia nella doccia. Ma dopo pochi minuti il suo sorriso sembrava carino e mi raccontava della sua Africa da bambina. Infatti dopo il tour della notte a scopo precauzionale mi propone di salire. Anche perché avevo saltato anche il pranzo e così ho proposto di fare due spaghetti.
In pochi minuti il pasto era pronto, la casa era un caravan serraglio dove dormivano ragazzi e una persona anziana fuori di testa. Due televisori accesi facevano compagnia a chiunque arrivasse senza osservarli. La quantità di oggetti sparsi nella stanza e lungo le scale facevano pensare agli zingari del deserto sotto le tende prima della esplosione della bomba H. Dal camino uscivano le punte di zanne di elefanti, statuette di ogni genere e palme di plastica potevano cadere da un momento all'altro dalle mensole.
Mi ero quasi addormentato dopo gli spaghetti al pomodoro. Il tritacarne era sporco, anche lo spremi agrumi gocciolava e le confezioni di plastica del prosciutto erano rimaste semi aperte. Potevo anche andare via ma poi mi sono detto, almeno qui ci sarà un letto. Infatti ci siamo abbracciati come due vecchi amici, lei ha detto qualcosa come per dire, ma è presto per farlo. Io ho detto, perché cosa c'è di male a sentire la pelle della schiena e le ossa sotto i nostri polpastrelli?
Verso le due di notte anche la tv della camera aveva un dvd con un film che andava a ripetizione ad alto volume. Tanto il supermercato era chiuso e nessuno poteva sentirlo tranne noi.. Il letto era di traverso, dagli armadi uscivano pezze e maniche di giacche. Ho cercato di trovare un tasto per spegnere la tv messa su un altarino pendente ma non esistono più i tasti nelle tv. In fondo la sua pelle era gradevole, calda e un pò grassa ma anche pulita e senza deodoranti per le ascelle. Di giorno era impegnata a gestire figli, appartamenti e per tenersi su beveva solo Coca cola Zero dopo un dosaggio che l'aveva portata sul limite dell'infarto.
Ho dormito quel tanto che bastava dopo la solite cose. Ma il dialogo e gli spari del film mi hanno svegliato. Lei era riversa da un lato. Tutte le luci dei ripostigli e dei secondi bagni erano rimaste accese a casaccio. Ho preso le mie scarpe e imboccato le scale dando un calcio alla tv dell'ingresso che parlava di crisi economica.
Si erano fatte le cinque di mattina, l'imbocco dell'autostrada era ancora chiuso per lavori. Dopo una mezzora di giri sulla provinciale finalmente i segnali stradali sono ricomparsi. Un intero edificio rosso di tecnologia avanzata era illuminato a giorno nella notte. Ero in mezzo a cinque corsie sulla autostrada, la mia corsa era appena cominciata. Potevo tornare a casa mia o dalla pianista addormentata.
Un fiume passava sotto il ponte dove tante macchine corrono. Come chiunque viaggia o si mette in cammino, le auto aspettano di arrivare e, nel mentre del tempo che passa che poi è la vita, sono come inerti o come morte. Nella dipartita non fanno altro che muoversi ma la distanza non è mai così vicina per apprezzarla davvero. Noi che viaggiamo in realtà siamo assenti dal mondo che cambia, aspettiamo di arrivare per poter vivere finalmente. Nel frattempo la nostra navicella viaggia alla velocità delle altre e dunque è ancora immobile e non parla con nessuno.
Gli alberi si allineavano e poi scomparivano ai bordi della strada. La sera era fresca, qualche pezzo di neve cadeva dal tettuccio, e ormai il peggio era passato. Da quando il gelo aveva lasciato cadere le foglie le mie ginocchia sentivano come un vuoto pneumatico dietro la rotula. Mi capitava di aspettare dei minuti sotto le coperte con le dita congelate prima di addormentarmi.
Il supermercato era verde, occupava un intero blocco e aveva un solo piano di sopra. Lei scese dalle scale dopo aver detto, adesso arrivo. Pensava che fosse sconveniente farmi entrare subito. Avrei visto le decine di paia di scarpe sulle scale dell'ingresso solo alla fine. Il programma della serata era saltato, Stefy non c'era più. Forse si erano fatte le coccole da sole. Non ci restava altro da fare che una bella passeggiata per vedere il panorama dall'alto delle mura.
Quando è salita in macchina sembrava che avesse la gobba. Eppure la faccia era regolare guardando la foto di profilo. Come è difficile sapere di avere a che fare con una gobba quando si pensa a una fantastica ragazza che ti massaggia nella doccia. Ma dopo pochi minuti il suo sorriso sembrava carino e mi raccontava della sua Africa da bambina. Infatti dopo il tour della notte a scopo precauzionale mi propone di salire. Anche perché avevo saltato anche il pranzo e così ho proposto di fare due spaghetti.
In pochi minuti il pasto era pronto, la casa era un caravan serraglio dove dormivano ragazzi e una persona anziana fuori di testa. Due televisori accesi facevano compagnia a chiunque arrivasse senza osservarli. La quantità di oggetti sparsi nella stanza e lungo le scale facevano pensare agli zingari del deserto sotto le tende prima della esplosione della bomba H. Dal camino uscivano le punte di zanne di elefanti, statuette di ogni genere e palme di plastica potevano cadere da un momento all'altro dalle mensole.
Mi ero quasi addormentato dopo gli spaghetti al pomodoro. Il tritacarne era sporco, anche lo spremi agrumi gocciolava e le confezioni di plastica del prosciutto erano rimaste semi aperte. Potevo anche andare via ma poi mi sono detto, almeno qui ci sarà un letto. Infatti ci siamo abbracciati come due vecchi amici, lei ha detto qualcosa come per dire, ma è presto per farlo. Io ho detto, perché cosa c'è di male a sentire la pelle della schiena e le ossa sotto i nostri polpastrelli?
Verso le due di notte anche la tv della camera aveva un dvd con un film che andava a ripetizione ad alto volume. Tanto il supermercato era chiuso e nessuno poteva sentirlo tranne noi.. Il letto era di traverso, dagli armadi uscivano pezze e maniche di giacche. Ho cercato di trovare un tasto per spegnere la tv messa su un altarino pendente ma non esistono più i tasti nelle tv. In fondo la sua pelle era gradevole, calda e un pò grassa ma anche pulita e senza deodoranti per le ascelle. Di giorno era impegnata a gestire figli, appartamenti e per tenersi su beveva solo Coca cola Zero dopo un dosaggio che l'aveva portata sul limite dell'infarto.
Ho dormito quel tanto che bastava dopo la solite cose. Ma il dialogo e gli spari del film mi hanno svegliato. Lei era riversa da un lato. Tutte le luci dei ripostigli e dei secondi bagni erano rimaste accese a casaccio. Ho preso le mie scarpe e imboccato le scale dando un calcio alla tv dell'ingresso che parlava di crisi economica.
Si erano fatte le cinque di mattina, l'imbocco dell'autostrada era ancora chiuso per lavori. Dopo una mezzora di giri sulla provinciale finalmente i segnali stradali sono ricomparsi. Un intero edificio rosso di tecnologia avanzata era illuminato a giorno nella notte. Ero in mezzo a cinque corsie sulla autostrada, la mia corsa era appena cominciata. Potevo tornare a casa mia o dalla pianista addormentata.
Un fiume passava sotto il ponte dove tante macchine corrono. Come chiunque viaggia o si mette in cammino, le auto aspettano di arrivare e, nel mentre del tempo che passa che poi è la vita, sono come inerti o come morte. Nella dipartita non fanno altro che muoversi ma la distanza non è mai così vicina per apprezzarla davvero. Noi che viaggiamo in realtà siamo assenti dal mondo che cambia, aspettiamo di arrivare per poter vivere finalmente. Nel frattempo la nostra navicella viaggia alla velocità delle altre e dunque è ancora immobile e non parla con nessuno.
Gli alberi si allineavano e poi scomparivano ai bordi della strada. La sera era fresca, qualche pezzo di neve cadeva dal tettuccio, e ormai il peggio era passato. Da quando il gelo aveva lasciato cadere le foglie le mie ginocchia sentivano come un vuoto pneumatico dietro la rotula. Mi capitava di aspettare dei minuti sotto le coperte con le dita congelate prima di addormentarmi.
noi corriamo e ci affanniamo per svolgere e non riavvolgere il filo delle giornate
RispondiEliminacercando sapori nuovi che non siano deodoranti
ciechi all'ovvietà dello scorrere del tempo, all'amore dell'istinto, alle distanze che non si apprezzano perché non si riconoscono quando sono così brevi
sorde agli appelli di esistenza, a richieste di presenza, a desideri di regalare, abbandonarsi e ritrovarsi
Basta guardarsi, guardare e saper guardare e, se non si aspetta, prima o poi si arriva
Se si viaggia non si è assenti dal mondo, se abbiamo una meta ben precisa dobbiamo pur guardare quello che il mondo ci offre, è indispensabile.La nostra vita, il tempo che scorre non può trovarci inerti, non possiamo arrenderci non possiamo lasciarci morire. In questo viaggio non siamo soli, guadiamoci intorno c'è ancora qualcuno che vuole viaggiare con noi. Allora si che le distanze si accorciano e la meta è più vicina.
RispondiEliminaLascia perplessi la freddezza da chirurgo con cui viene analizzato ogni particolare più repellente, della casa e della donna (untuosa), la quale, per quanto tristemente gobba e dalla pelle grassa, sembrerebbe perfino lei intenzionata e sottrarsi ormai a un approccio che evidentemente non gradisce più.
RispondiEliminaQuesto però non spinge il protagonista, nonostante la repulsione che sembra provare per il soggetto femminile (e che di certo suscita nei confronti della povera protagonista della vicenda), a sottrarsi in alcun modo ad approcci inaspettatamente (fino a che punto?) sgradevoli.
Sembra anzi andare a cercare proprio lo squallore con una costanza e una determinazione senza requie... Addirittura, sembra cercare un riscatto da questo degrado in altre diverse eppur simili forme di degrado.
Apprezzabili i commenti, ma non mi sembra che in tutto questo racconto ci sia molto lirismo. Semmai una forte dose di grottesco con una sfumatura tragica, come il clown che vorrebbe fare ridere ma invece molti bambini li fa piangere. Una ferita ripetutamente inferta alla propria dignità e a quella altrui...
"sentire la pelle della schiena e le ossa sotto i nostri polpastrelli"... Vero, vero, sembra proprio il linguaggio di un medico alle prese con una paziente non solo gobba ma anche portatrice di ernia, probabilmente: sembra di vederli questi polpastrelli come ventose che tastano e controllano lo stato di salute delle vertebre una per una. Ma poverella! E che uomo offensivo, prima ci sta e poi le insulta tutte con queste descrizioni!
RispondiEliminaMa si guardi lui, che oltretutto per primo, con questa terminologia tecnica dei "polpastrelli" eccetera, si presenta infatti subito come la Rana Palpatrice delle Antille...