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Laqa

Sono finito a Laqa verso le tre di notte a dormire su una panchina di legno. Ho lasciato le scarpe a terra e usato la borsa da viaggio come cuscino. I miei poveri piedi erano un fuoco, li ho sollevati e stesi sul bracciolo. Dopo qualche minuto mi sono addormentato, mentre l'ultimo posto al neon con bibite fresche chiudeva e i ragazzi dell'altra panchina andavano a casa sulle loro auto pagate a rate.

La notte era umida e afosa, come succede alla fine di luglio. Scendendo in aereo sull'isola ho visto le chiese di Gozo, mi sarebbe piaciuto restare un giorno in questo posto in mezzo al mar Mediterraneo dove passano uomini migranti e uccelli migratori per almeno una volta nella vita. La parte meno fortunata non ci torna più perché viene abbattuta. Gli altri ci restano per almeno visitare le chiese dei Cavalieri o frequentare un corso di inglese e poi andare al mare.

Vengo da Venezia e dalla costa di Barcellona. Un vento di scirocco mi ha portato, ancor prima, nel mezzogiorno della Francia ad Albi, la città dei vescovi e poi sulla terra dei Templari a sud di Perpignan dove tutti si sentono catalani anche se sono ancora al di qua dei Pirenei. Ho rifatto alla rovescia la mezzaluna del mare nostrum che, più o meno, assomiglia alla mezzaluna medio orientale.

Dentro l'aeroporto di Malta non sopportavo più le luci accese e le persone appisolate nelle sedie del Caffè Costa. Così ho pensato di prendere un taxi e fare un giro di un'ora della città ma in quel momento il posteggio era vuoto e ho lasciato perdere l'idea, anche per i 30 euro della tariffa. Ma tutto era perfetto e funzionale. Si vede che gli inglesi rimasti gestiscono bene il loro disordine e caos, come i francesi del resto e le potenze coloniali. Invece italiani e spagnoli, per non parlare del resto del Mediterraneo, fanno a gara a chi rovescia più spazzatura sul marciapiede o sulla terra del vicino.

La questione meridionale nasce da questa assenza dello Stato come vera autorità, ma adesso farei bene a pensare di riposare. In altri tempi avrei passato la notte ad ascoltare musica jazz o magari una cantante di fado o di blues, ma questa sera mi sento stanco, più di una pietra che rotola a caso. O forse questo caos apparente, questo disordine non previsto perché non pianificato, non è proprio così casuale, mi sono detto. Forse il mondo mi vuol dire qualcosa, forse quello che ho imparato finora mi serve a capire i segnali in codice di fuori. E così, contro la logica dell'energia disponibile, ho continuato a camminare verso la prima chiesa e il suo campanile barocco illuminata fuori.

Dopo un paio di rotonde e spartitraffico e macchine guidate sulla corsia di sinistra (guarda a destra quando attraversi!) i cartelli stradali dicevano ancora sei km per La Valletta e uno solo per l'aeroporto. Venti minuti passano in fretta, potevo arrivare nella capitale nel giro di un'oretta. Se cammini e non ti fermi vai alla stessa velocità di qualsiasi mezzo meccanico. Ero regolare come la tartaruga e, di giorno, sarei stato più veloce delle auto costrette agli stop. Le vecchie città sono state costruite per la gente che cammina, le nuove per le colonne che vanno a senso unico.

Ho superato i giardini di aranci protetti da alte mura di pietra bianca e la luna piena era ancora nascosta quando sono entrato nel piccolo paese. Era deserto ma le strade di pietra erano più fresche di quelle asfaltate. I vicoli stretti alla fine giravano intorno ed erano chiusi in qualche caso. Laqa ha una specie di labirinto e anche una via di uscita. Il rumore dei passi nella notte si alzava di intensità come quando uno straniero entra nella tua casa o quando torni nella tua camera da letto in piena notte.

Camminando mi chiedevo cosa era successo questa volta. Stavo tornando a casa ormai, anche se passavo di gente in gente senza averlo voluto e ammettevo che every distance is not near. Non si viaggia per fare le stesse cose e farle peggio, si viaggia per imparare dal nuovo. E stavolta il nuovo non c'era nei luoghi di arrivo convenzionali, almeno non in superficie. Mi sembrava di aver ripreso a ritroso il cammino di qualcuno che era fuggito cambiando nome e paese. Qualcuno che francesi, spagnoli e inglesi avrebbero voluto evitare di incontrare perché la sua presenza pubblica avrebbe cambiato il senso delle loro vite.

Forse l'unico senso di questo viaggio era la strada di quest'uomo e della sua compagna passati sotto le foglie di un eucalipto pendente nell'acqua e sotto i monti di neve come fossero Piramidi di ghiaccio. O forse anche quella dei Crociati, cioè l'avventura di uomini inviati dalla Chiesa per liberare Gerusalemme. Che al ritorno in Europa hanno capito di essere presi per il collo e infatti i Catari si sono ribellati ai vescovi e agli imperatori. Anche perché la storia della Resurrezione, stando sul posto a combattere contro i turchi, faceva acqua da tutte le parti.

Dormivo con la testa sopra un una borsa piena di maglie e di una cosa molto fragile. Ma di questo mi sono reso conto solo dopo, verso le quattro e mezza, quando sono tornato a piedi verso la pista. La verità delle cose ci è ignota perché vogliamo che lo sia. La oscuriamo come il sole dietro le nuvole. Viceversa, sarebbe troppo pericoloso ammettere che ci siamo sbagliati, che tutti si sono sbagliati. La terra è rotonda e gira intorno al sole, finalmente poi succederà anche questo.

A Banyoul ho comprato per cinque euro, dopo una trattativa fallita per 4 auro, un disco in vinile con George Brassens in copertina. Il cantautore francese era nato da queste parti e Gino Paoli e Fabrizio De Andrè lo consideravano una specie di fratello maggiore che viveva sulla stessa sponda di fronte alle Baleari. Il disco non è granché in effetti, George è vecchio e non canta quasi mai, gli altri del disco suonano il dixieland sul motivetto delle sue ballate, idea commerciale della Philips.

Ho comprato anche una vecchia bilancia con i piatti di rame e la base di marmo per pesare gli ingredienti dei piatti che farò. Ho comprato due romanzi in edizione tascabile di Stendhal e di Balzac nel caso volessi trovare il tempo di leggerli in francese. Niente di nuovo, accumulo sempre le stesse cose e gli stessi pensieri. Tranne che una ragazza del tourist office dal viso angelico come Santa Elisabetta mi ha fatto incontrare un tale che mi sembrava di riconoscere come fratello o qualcosa del genere per via della voce e degli occhi.

Questo Daniel, dal cognome che ricorda il suono Gesù, ha aperto la sua casa e ho dormito alcune notti, sette notti e poi una notte e un'altra ancora. La sua casa era al Cas del avis, cioè la casa dei padri. Intorno viti in gradoni e terrazze, qualche minicucco e delle mandorle. Su una parete delle ceramiche con dei catalani che ballano come dei siciliani con gli stessi abiti e copricapo. I muretti delle vigne e delle ville come costruiti su foglie di pietre.

Ho bevuto il vino rosso trattato nelle damigiane di vetro al sole e fatto visita alle cattedrali del potere di Girona e Barcellona. La Sagrada Famiglia, l'ultimo esempio della oppressione e dell'ossessione di Gaudì. Quanto è diversa, invece, la forma del chiostro e la fontana delle terme arabe. Aperto l'armadio della casa degli avi di Daniel ho sistemato la mia giacca in camera da letto e non l'ho più portata via. Forse un giorno mi arriverà per posta.

Una sera verso il porto di Collioure, uno spagnolo-arabo-marocchino suonava la chitarra e pochi lo pagavano. Poco distante una croce nell'ombra guardava il tramonto del sole come lo guardavano in silenzio uomini e bambini, madri e figli tenuti per mano. La notte il vento soffia sui battenti delle finestre aperte alla frescura e scoppiano dei petardi verso i muri. Due cani neri fanno la guardia nel giardino del vicino. Hanno smesso di abbaiare presto stavolta e anche gli altri a guardia delle case in collina hanno fatto lo stesso.  Ha piovuto finalmente e l'acqua ricomincia a scorrere nel fiume sotto il colle.

Commenti

  1. si viaggia anche per ritrovarsi: trovare il ricordo di sé.. ma non vale neanche la pena risponderti...

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