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Jennifer Catanzaro

In piazza ha riaperto il bar. Lo gestisce un gruppo di uomini vestiti di nero e con la barba incolta. Si mangia roba mista siciliana-milanese ma non ha molto successo con i pakistani che vanno dal barbiere e i clienti dell'internet point. La titolare è Jennifer Catanzaro che ancora non si vede. Alla cassa, invece un tipo svogliato, ti dà il resto senza dire grazie.

Chi ha rilevato il bar deve avere molti soldi anche se ha risparmiato sulle insegne. Invece di sostituirle tutte, sono almeno cinque o sei, ci ha messo sopra una pezza con un altro nome. L'interno è stato rimodernato, grandi pezzi di vetro spesso e un soppalco sempre vuoto a riempire la sala verso l'alto. Entri, o stai sul bancone in piedi come un cavallo a prendere il caffè oppure ti metti in vetrina su dei tavoli a quattro.

Il gestore di prima andava avanti con il solo caffè. I cinesi stanno comprando tutto, diceva. Anche il bar da aperitivi di fronte pieno di palme e poltroncine. Qualche mese prima avevano preso il bar del sardo e quello del marchigiano. Ora sarebbe toccato a lui, ma non voleva cedere subito. Aspettava l'offerta e così è arrivata Jennifer Catanzaro, forse la figlia del titolare vero.

Ora un milanese alto ordina il decaffeinato. Dalla cucina arriva una cuoca vestita di nero con cordone allo stomaco, ordina al barista di guardare la pentola ora che lei esce. Il ragazzo ha la barba incolta e il distintivo sulla camicia scura aperta sui peli del petto. Dice: - Va bene, lo farò. A casa mia, però, comando io.

La signora che accompagna il milanese vorrebbe trovare il tabacchi di prima e il gioco del lotto. Peccato, forse non torna più allo Steven Bar. La sala è vuota, il bancone anche. I tavoli fuori hanno una bella vista sul traffico di gente e l'importazione dei popoli. Ogni giorno passano migliaia di persone, sbucano dalla fermata del metro e vanno verso un altro viale. Trafficanti di schede telefoniche internazionali spostano i pacchi e traslocano.

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