Vado a stare nella casa di Cristo Re anche solo per guardare intorno. O per scendere da Franchetto nella valle che separa questo altipiano dalle colline di fronte a mezzogiorno. Dal monte di Turcisi, o anche più in basso dalla masseria dei Borzì, si vede lo spazio lasciato nella terra dal grande fiume delle alluvioni, l’acqua che portava verso il mare un altro mare di acqua dalle montagne dell’interno fino alla costa della plaja di Catania.
Caltagirone è dietro Palagonia ma più vicino si vede Ramacca davanti sulla destra. Lo stesso angolo e la prospettiva della antica città romana di Morgantina nascosta da altre colline. Dietro la casa, in questo timpo che si chiama Poggio Campana per la sua forma, sale la parete dell’Etna, a Muntagna. Come fosse una piramide di ghiaccio o come una madre con un padre a fianco ad aspettare. Dietro la casa sale il più piccolo Monte di San Giovanni, una collinetta dalla stessa forma regolare. A 12 anni sono salito fino in cima a passi di corsa con una radio a transistor foderata di cuoio. Per ascoltare le onde medie e respirare il vento caldo della bocca del monte.
In questa terra di due salme e mezzo, ogni salma sono tre ettari e qualcosa, abbiamo raccolto delle pietre giganti io e mio padre. Per alcune settimane nel caldo e nella polvere di luglio abbiamo liberato il terreno da arare dall’ingombro dei pezzi di calcare gialli e marroni. Nelle pause, all'ombra della casa, prendevamo un qualcosa da mangiare avvolto in un panno. Sentivo le cronache in diretta delle Olimpiadi di Tokio del '68, con gli italiani battuti alla prova di ginnastica e la medaglia d'oro sempre a Sakamoto campione alla sbarra o agli attrezzi.
Nino è un tipo angelico e silenzioso ma testardo come un falso mulo, il mulo fauso. U zu Nino, come lo chiama Vito mio cugino, si aspettava che facessi quel lavoro con disciplina e dedizione, la stessa pretesa dal suo di padre. Senza troppe parole mi ha portato a Franchetto, come a Ramione o all'Ogliastro, a fare e imparare il suo lavoro nella nuova terra comprata coi nuovi attrezzi comprati. Con un piccone separava le pietre dalla terra e le ammucchiava in un punto. Io facevo la manovra in marcia indietro girando lo sterzo al contrario, portavo il trattore vicino, scendevo e lo aiutavo a trascinare il materiale. Fino a che il carrello si riempiva completamente e le pietre rotolavano giù in una scarpata per fare da argine al vallone, un ruscello di acqua d’inverno.
Caltagirone è dietro Palagonia ma più vicino si vede Ramacca davanti sulla destra. Lo stesso angolo e la prospettiva della antica città romana di Morgantina nascosta da altre colline. Dietro la casa, in questo timpo che si chiama Poggio Campana per la sua forma, sale la parete dell’Etna, a Muntagna. Come fosse una piramide di ghiaccio o come una madre con un padre a fianco ad aspettare. Dietro la casa sale il più piccolo Monte di San Giovanni, una collinetta dalla stessa forma regolare. A 12 anni sono salito fino in cima a passi di corsa con una radio a transistor foderata di cuoio. Per ascoltare le onde medie e respirare il vento caldo della bocca del monte.
In questa terra di due salme e mezzo, ogni salma sono tre ettari e qualcosa, abbiamo raccolto delle pietre giganti io e mio padre. Per alcune settimane nel caldo e nella polvere di luglio abbiamo liberato il terreno da arare dall’ingombro dei pezzi di calcare gialli e marroni. Nelle pause, all'ombra della casa, prendevamo un qualcosa da mangiare avvolto in un panno. Sentivo le cronache in diretta delle Olimpiadi di Tokio del '68, con gli italiani battuti alla prova di ginnastica e la medaglia d'oro sempre a Sakamoto campione alla sbarra o agli attrezzi.
Nino è un tipo angelico e silenzioso ma testardo come un falso mulo, il mulo fauso. U zu Nino, come lo chiama Vito mio cugino, si aspettava che facessi quel lavoro con disciplina e dedizione, la stessa pretesa dal suo di padre. Senza troppe parole mi ha portato a Franchetto, come a Ramione o all'Ogliastro, a fare e imparare il suo lavoro nella nuova terra comprata coi nuovi attrezzi comprati. Con un piccone separava le pietre dalla terra e le ammucchiava in un punto. Io facevo la manovra in marcia indietro girando lo sterzo al contrario, portavo il trattore vicino, scendevo e lo aiutavo a trascinare il materiale. Fino a che il carrello si riempiva completamente e le pietre rotolavano giù in una scarpata per fare da argine al vallone, un ruscello di acqua d’inverno.
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