In un pomeriggio di giugno, dietro al sole al tramonto, sono tornato a Franchetto. Dopo la barra, verso l’eucalipto, i passeri sono scappati via. Lasciando nei nidi, al rumore dei miei passi, le piccole ali a frullare. Anche un predatore, un’aquila o uno sparviero con due metri di ali, è volato verso il piccolo canneto e le rane. Di traverso sulla panchina di ghisa i braccioli lasciano i segni sulla schiena se, anche adesso, mi sdraio come per dormire.
Alle spalle c'è il muro della casa, grigio per la calce e il cemento. Sul muro il geco e la geca aspettano i loro moschini invisibili. Uno dei gechi, che qui è femmina e si chiama zazzamita, si attacca alla schiena da sotto la camicia e non va via. Finchè, camminando verso il rumore della caffettiera, non lo prendo tra le dita e lo riporto fuori. Nella testa ho un sonno che potrei dormire per giorni interi. Il sole ha asciugato la terra e il vento arriva ora a rinfrescare la memoria. Ho chiuso gli occhi e ho dormito per alcuni secondi pesanti ma passati nella testa come nuvole leggere.
Non si può non amare zazzamita blues, c'è chi la preferisce tra tutte, sarà per il richiamo blues. Lui c'è stato e io no. Ma il quadro che ne fai è limpido, nonostante il sonno: c'è il vento che spazza veloce le nuvole leggere.
RispondiEliminaMi avevi chiamata zazzamita, tra gli altri nomi... certo: anch'io mi sono attaccata e non vado via...
Ora è dicembre, il sole non scalda la terra. Zazzamita, spenta, attende i moschini, invano.
poche righe... e c'è il quadro di te
RispondiEliminaecco...