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Magreb a Parigi

I palazzi de La Defense sono di vetro, uno è a forma di Arco di Tito. Ma si chiama La Grande Arche, la porta oltre il Diluvio, dove tira un vento gelido nei giorni della Merla, la compagna del merlo. Sotto l'arco della salvezza passano le migliaia di ragazzi muti, salgono e scendono dagli ascensori fino al 39 piano. Oltre gli scalini della pausa sigaretta, il bar prepara gli spiedini per duecento. Fuori c'è un cimitero americano circondato da una strada di assi di legno panoramica, per i pedoni volenterosi di fare tre o quattro chilometri nell'aria frizzante.

Siamo qui per sentire come fanno ad evitare i crash e moltiplicare gli earnings, come fanno dai piani alti a guardare il mondo piccolino e perchè zero è il numero e nero è il colore. Le cinesi arrivate da Londra fanno domande sulle tecniche di moltiplicazione degli investimenti. Quaranta ingegneri di ventidue anni muovono dozzine di masse di soldi a telecomando. Forse abbiamo esagerato con la fetta di torta di troppa panna. Ci vorrebbe una mela fresca, ma questa nel cestello è forse finta?

Oggi i giovani arabi sono in piazza e sopra i carri armati del Cairo. Come fosse Praga del '68 allargano le braccia verso il cielo, onde di facce simpatiche e ragazze con il fazzoletto affacciate all'altra sponda del nostro mare. Ci sono i morti per le strade e c'è sentore di peste, la chiamano la rivoluzione dei gelsomini. Ma ora è meglio andare in albergo, lasciamo perdere la visita guidata alla borsa valori con sua campanella di fine contrattazioni. Chi se ne frega. Quelli di Wall Street sono delle comparse che si agitano solo per le telecamere.

Arriva un taxi bianco sporco con l'interno bianco sporco. Il tassista prenotato prima si è perso, se sbagli l'ingresso della rotatoria sei rimandato di una settimana. Questo caronte è algerino come Zinedine Zidane, detto Zizu. Pero' assomiglia più a David Trezeguet perché ha la testa ovale, la pelle marrone e la bocca come certi faraoni. Il suo nome non lo sentirò neanche alla fine quando ci salutiamo dietro il finestrino.

Ad Algeri, Tangeri e Tunisi sono alcune centinaia di milioni, sono magrebini come il tassista che è giovane e auto didatta, che Dio t'assista. Com'era magrebino S. Agostino ma anche il comandante Settimio Severo nel primo secolo. I romani sono arrivati in Africa e il popolo del Magreb era inteso anche come Romì. Mi fa sedere a fianco e gli altri dietro.
- Allaccia la cintura almeno tu.
- Io avrei la faccia da romano o da siciliano?
- Si vede subito. Ma la Sicilia ha una sua lingua. Appartiene all'Italia?

In confronto a tanti seduti su questo taxi il Romì ne sa di storia anche se porta la gente con la cravatta sporca di formaggio da La Defense fino alla vie de Rome all'Opera. Di sera abbiamo festa all'americana con torta di cartone, champagnetta e estrazione di premi. Un altro algerino nella sala fa correre una stazione orbitante di mezzo metro con l'iPhone.
- Vuoi provare anche tu?
- No grazie. Sono troppo impegnato a mettere in tasca i biglietti da visita.

La mattina dopo il collega calabrese fa lo shopping di creme salutari. Ci troviamo al bar Vapeur, vorrei una Capovtì. Comment? Prendiamo il metro facciamo prima per Charles de Gaulle. Mezzora di tritacarne di uomini ridotti a formichette con l'auricolare, dieci cancelli, fiumi di gente ammucchiata sulle scale mobili e addetti della municipale, a spingere e tenere la disciplina a ogni porta di questo paradiso di città.

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